«Quando gli uomini erano umili hanno fatto cose stupende. Quando sono diventati potenti e vanagloriosi hanno fatto cose che sembravano meravigliose ed erano invece l’inizio della rovina». Non è un comunista che parla ma «semplicemente» un liberale illuminato. E basterebbe questo assioma per capire l’importanza degli scritti di Renato Bazzoni, architetto, paesaggista, ecologista, prima che queste parole diventassero di moda, fondatore del Fai (Fondo ambiente italiano). Ora, un volume curato da Antonella Cicalò Danioni – Tutta questa bellezza, Rizzoli, pp. 370, euro 19) ci dà un’antologia fondamentale per avvicinarci a questo personaggio decisivo dell’ambientalismo italiano. Sono scritti che abbracciano un periodo pressoché completo della vita di Bazzoni, dagli inizi degli anni Cinquanta fino a poco prima della sua morte (1996): testi che offrono un ritratto del tutto nuovo, anche per chi lo ha frequentato, del «militante della bellezza», sferzante difensore di un modo di vivere con rispetto l’arte e la natura del nostro paese.
Bazzoni è l’esatto contrario di tanti retorici difensori (tardivi e quindi falsi) del paesaggio italiano che abbiamo visto in opera quando è deflagrato nell’immaginario il film di Sorrentino. Sta piuttosto, per intenderci, dalle parti di grandi personaggi come Antonio Cederna. Il suo approccio rigoroso e non elitario ma sociale, la logica assoluta della conoscenza e del sopralluogo, la pubblicità fondata più sulle cose realizzate che sui giornali, il rispetto per le donazioni e il restauro dei luoghi e dei monumenti: testi che si leggono d’un fiato e si consumano col piacere di avvicinarsi a un intellettuale che ha operato per il benessere di un’intera comunità.
Si va dalle riflessioni sul paesaggio «come opera d’arte in movimento» all’assunzione di responsabilità collettiva che la natura e la storia ci consegna; dal concetto di «ambiente monumentale» cioè intreccio tra l’architettura colta e quella rurale a minuziose lezioni sui guasti di restauri soltanto apparenti («togliere la patina di sporco non la patina del tempo»). E dal paesaggio si passa agli interventi sul National Trust inglese, l’architettura e l’urbanistica, il rapporto tra territorio e ambiente con la domanda decisiva posta agli allievi in una conferenza del 1972 sull’ombra negativa del progresso («Perché? Come si è arrivati a tanto?»), sul senso dei viaggi e del turismo culturale. E poi le osservazioni sull’amata Venezia, sulle coste italiane, sui paesi e il loro rischio di distruzione di memoria, sugli agriturismi allora all’orizzonte. Gli scritti di Bazzoni sono lezioni da conservare come se fossero state scritte ieri, tante sono le novità che emanano. Di più: in un’Italia che finge di iniziare sempre d’accapo, cioè di non cambiare mai, sono piattaforme per il futuro, da usare in qualsiasi linea politica l’ambientalismo venga declinato. E non a caso il leit motiv dell’autore è quel bistrattato articolo 9 della Costituzione Italiana sulla difesa del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale.