L’hanno già battezzato FernándezDíazGate, dal nome del ministro degli interni spagnolo, Jorge Fernández Díaz. Lo scandalo che coinvolge in pieno il ministro incaricato di garantire il processo elettorale di domenica sta montando. Tanto che il leader di Podemos Pablo Iglesias ha detto chiaro e tondo: «Credo che tutti i cittadini dovrebbero preoccuparsi», perché «questo ministro e questo ministero sono gli incaricati di garantire la sicurezza delle votazioni di domenica». Con la faccia tosta che gli è solita, il Partito popolare e lo stesso ministro si dichiarano «vittime», concentrandosi sul fatto che qualcuno – illegalmente – ha registrato e fatto filtrare queste intercettazioni del 2014 alla stampa proprio questa settimana, senza però entrare nel merito della gravità della vicenda: un ministro e un direttore di un ufficio dedicato a combattere la corruzione si incontrano per discutere di come fare pressioni su politici catalani invisi al governo distorcendo delle prove, e lasciando addirittura intendere di poter manipolare la Físcalia (il procuratore generale dello Stato).

Se Mariano Rajoy ha fatto quadrato attorno al suo ministro dichiarandogli «piena fiducia» («ci sono persone che hanno voglia di costruire problemi dove non ce ne sono», ha aggiunto), per Daniel de Alfonso, capo dell’organismo catalano anticorruzione, i giorni sono contati. In una seduta straordinaria del Parlament di Barcellona, convocata dalla sua presidente Carme Forcadell con l’obiettivo di iniziare il procedimento per la sua rimozione, de Alonso ha risposto in maniera arrogante agli attacchi di tutti i partiti, eccetto i popolari. Arrivando a insinuare che persino il presidente di Ciudadanos, Albert Rivera, sarebbe andato a trovarlo per appoggiarlo, a cambio di «qualcosa», e cioè che gli passasse informazioni contro i suoi avversari.

Anche lui come Fernández Díaz si è lamentato che la propria intimità sia stata fatta a pezzi – come se l’ultima conversazione con un ministro resa nota ieri da publico.es su come sostituire un president della Generalitat legittimo, come era Artur Mas, fosse un tema personale – e ha declamato «scagli la prima pietra chi è libero del peccato di cospirazione», per aggiungere in tono mafioso: «Non siate ipocriti vossignorie, vi siete tutti riuniti con me». Secondo lui, l’obiettivo delle intercettazioni è di «togliere di mezzo un direttore anticorruzione scomodissimo».

La questione è particolarmente delicata non solo per la gravità dell’evidenza che sembra dimostrare una prassi istituzionale di uso della giustizia e degli organi dello Stato per interessi partitici. Ma anche perché centra uno dei punti chiave di questa campagna: il problema catalano. La storia getta benzina sul fuoco indipendentista. Forcadell, che si è detta «molto indignata come cittadina», ha chiesto di «sapere se esistono questi dossier su di me e sulla mia famiglia, chi li ha incaricati, chi li ha redatti». Secondo quanto rivelato ieri dalla Cadena Ser, infatti, la polizia e i servizi segreti avrebbero prodotto vari dossier anonimi con l’obiettivo di criminalizzare i movimenti indipendentisti come l’Assemblea nazionale catalana di cui Forcadell era presidente. Il redivivo Artur Mas, che aspetta ancora di sapere che succederà della denuncia contro di lui da parte del governo per aver organizzato la famosa “consultazione” indipendentista del 2014, ha parlato di «Stato di matrice franchista». Per poi aggiungere che «benché noi siamo i principali perseguitati, la vera vittima è il popolo catalano».

Di certo ci sono vari elementi inquietanti su cui riflettere a freddo, dopo le elezioni. Primo, che qualcuno sembra essere in possesso di intercettazioni scottanti che presumibilmente sta usando come arma di ricatto. Secondo, che pezzi importanti delle istituzioni («le cloache dello Stato», le ha definite il numero due di Podemos, Íñigo Errejón) dedicano tempo e risorse a spiare avversari politici e costruire prove false su di loro (vengono alla mente le 4 denunce false contro Podemos degli ultimi mesi già archiviate dalla magistratura). E infine che l’aria mefitica di Madrid si respira anche a Barcellona, dove i toni mafiosi di chi conosce molti segreti non sono molto diversi da quelli usati dai ministri popolari.