Un uomo, Henry (Tory Kittles), torna a casa, in un quartiere malfamato: è stato in prigione a lungo per un crimine violento e ad aspettarlo trova la madre che si è data alla prostituzione per tirare a campare e il fratellino quasi adolescente, costretto sulla sedia a rotelle, che gioca ai videogame nella sua stanza. Con il suo lungo incipit, Dragged Across Concrete – terzo film del regista americano Craig Zahler presentato fuori concorso alla mostra (come il precedente Brawl in Cell Block 99 visto l’anno scorso) – comincia molto «lontano» dalla sua star: Mel Gibson – divo hollywoodiano «reietto» quasi quanto, in un gioco metacinematografico, il poliziotto che interpreta nel film: Brett Ridgeman. Lo incontriamo in un’alba livida mentre fa la posta insieme al suo partner Tony (Vince Vaughn) fuori dalla casa di uno spacciatore, ma i due vengono da subito sospesi dalla polizia per uso eccessivo della forza nei confronti del sospetto sudamericano che hanno preso in custodia. Come nel precedente film di Zahler siamo dalle parti del noir, in quell’universo tragico in cui i destini degli (anti)eroi sono segnati dalla prima inquadratura – dalla prima decisione sbagliata di personaggi che vivono lungo una linea confusa fra il bene e il male.

Un genere che Zahler si diverte a omaggiare con ironia e in un’escalation di violenza, un percorso sanguinario lungo il quale il cammino dei due poliziotti e di Henry è destinato a un certo punto a incrociarsi. Meno coeso e avvincente di Brawl in Cell Block 99, Dragged Across Concrete porta però all’estremo il presupposto di quel film: concedersi la libertà e il piacere di scoprire fin dove si può spingere una situazione, una scena, che sia un dialogo su un panino o uno sbudellamento feroce.

«Nella scrittura dei dialoghi – dice Zahler, anche sceneggiatore e autore di romanzi – trovo che a volte sia più interessante girare intorno alle cose invece che farle dire in modo diretto: non sono certo dialoghi naturalistici, per questo le performance degli attori sono così importanti». E questo vale per ogni aspetto del film, che deliberatamente ci porta in un mondo parallelo rispetto alla realtà che pure interroga in chiave «morale» – come quei videogiochi di cui un giorno il fratello di Henry vorrebbe diventare programmatore proprio perché consentono di sognare mondi «altri».