Come in una tragedia classica, non c’è modo di sfuggire al proprio destino. Un destino assegnato dalla nascita, ma soprattutto dal luogo in cui si è nati: la periferia, o il centro urbano degradato. Sono i quartieri catanesi di Librino – con i palazzoni anonimi che la accomunano alla periferia di Napoli, Roma e tante altre in tutto il mondo – e San Berillo, luogo di decadenza nel cuore antico della città.

Fra questi due centri nevralgici dell’emarginazione si svolge il racconto di Malarazza – Una storia di periferia, la seconda regia di Giovanni Virgilio dopo La bugia bianca. Rosaria (Stella Egitto) è sposata con Tommaso Malarazza, un violento buono a nulla, poco tagliato anche per la criminalità che si tramanda di padre in figlio come un titolo nobiliare. Sulle sorti del figlio Antonino, quasi quattordicenne, si combatte la «battaglia» del film: la sfida immane di Rosaria per farlo uscire dal cono d’ombra di un destino segnato e senza prospettive se non quella di cominciare dallo spaccio una scalata verso l’«élite» della criminalità.
Ad aiutare Antonino e Rosaria c’è il fratello di lei, Franco (Paolo Briguglia), travestito che vive e si prostituisce nelle strade di San Berillo.

Ma i Malarazza, come i Malavoglia di Verga che Virgilio omaggia anche nell’affresco sociale delle periferie siciliane – anche se la denuncia prende a momenti il sopravvento sulla storia e i personaggi – non sono aiutati dalla provvidenza, né dalle istituzioni che non sembrano esistere in quei luoghi che Malarazza ci mostra nel buio della notte o sotto un cielo livido – che anche in riva al mare avvolge nell’oscurità i suoi protagonisti.