Da ammortizzatore sociale vincolato a otto ore di lavoro gratuito e alla formazione obbligatoria a incentivo per le imprese. Il sussidio contro la povertà assoluta, detto impropriamente «reddito di cittadinanza», sarà anche un business per le imprese a partire dal 1 aprile 2019, un mese prima delle elezioni europee. Un pegno per tenere incollata l’alleanza pentaleghista, non stressare il fronte delle imprese, soprattutto quello del Nord, rabbonire la Confindustria in vista di quella che il presidente del Consiglio Conte ha definito «rimodulazione» della manovra. Concetto che allude al rinvio di tre mesi del «reddito» per un risparmio, nel 2019, di una parte dei 3,6 miliardi di euro (0,2% del Pil) considerati da Conte utili per incantare i giudici del tribunale europeo dei conti. La platea dei possibili destinatari non dovrebbe cambiare: 5,05 milioni in 1.778.000 famiglie, di cui un terzo stranieri. Di questi solo coloro che risiedono da 5 anni in Italia avranno diritto al sussidio.

QUESTA SITUAZIONE è già nota da inizio ottobre quando il capogruppo M5S al Senato Stefano Patuanelli ha confermato che il sussidio sarebbe stato trattenuto dalle imprese che avrebbero assunto, non si sa con quale contratto, il beneficiario. Il nuovo incentivo, dopo i 18 miliardi di euro in sgravi contributivi per tre anni stanziati dal Jobs Act di Renzi e del Pd, è stato confermato a fine ottobre da Di Maio. In un’anticipazione del libro di Bruno Vespa il vicepresidente del Consiglio ha allargato il campo dalla formazione nelle imprese al mercato delle agenzie interinali: «Se saranno loro a trovare la proposta giusta sarà compensata con il triplo di 780 euro. Se sarà il centro pubblico, sarà l’impresa che assume il lavoratore ad avere lo stesso bonus, 780 euro moltiplicati per tre». A inizio novembre il sottosegretario alle infrastrutture, il leghista Armando Siri, ha provato l’affondo: non più solo tre mesi, ma tutti i soldi del sussidio (8 miliardi, comprensivi di 2,5 del «reddito di inclusione» e, probabilmente, di 1,5 miliardi della Naspi, 1,27 miliardi della «Garanzia giovani»), «vadano alle imprese e aziende che si facciano carico di formare i beneficiari».

PROSPETTIVA che i Cinque Stelle vogliono evitare. Pasquale Tridico, il consulente di Di Maio per il reddito e la riforma epocale dei centri per l’impiego, sostiene che il «reddito» non è «una dote per le aziende, ma uno strumento per le persone». La confusione tra incentivo fiscale e diritto fondamentale, tra cittadinanza e investimento, è totale. In un’intervista a Radio Radicale, ieri Di Maio ha detto invece che «il reddito se lo scambiano disoccupato e impresa: quando il disoccupato diventa occupato l’impresa che lo ha occupato prende il reddito per qualche mese». Per Di Maio la misura «sarà un vantaggio anche per gli imprenditori», sotto forma di «sgravio».

L’ENFASI POPULISTA spesa per definire una simile misura come qualcosa che «investe sulla felicità degli italiani, il sorriso rimette in moto l’economia» (lo ha detto Di Maio, davvero) giustifica l’idea che alle imprese vada una quota di «reddito». Al contrario, se va ai precari è «assistenzialismo» ai «fannulloni». Questa è l’ideologia che accompagna le politiche di offerta preferite a quelle di sostegno alla domanda da un governo che propone un mix incerto. L’illusione è che l’assistenzialismo statale alle imprese possa servire a «creare occupazione». Se lo farà, com’è accaduto con il Jobs Act, sarà precaria. Così si spiega il boom dei contratti a termine dopo l’approvazione della renzianissima riforma. Obiettivo? La società del precariato a tempo indeterminato in cui il lavoro è quello di cercare lavori.

DI MAIO HA ANNUNCIATO l’assunzione di un numero non precisato di «tutor» o «navigatori» che dovrebbero assistere chi è senza lavoro e riceve il sussidio. Colpisce, in questo caso, l’uso del linguaggio pastorale delle teorie del management del capitale umano che considerano queste figure come manager dell’anima, valutatore, poliziotto, certificatore che instrada i poveri sulla via morale della redenzione. I tempi dei concorsi pubblici non sono inoltre compatibili con una partenza in tempi brevi della misura. Dovrebbero rientrare nel battaglione di assunzioni promesse per i centri per l’impiego.