Nel 1978 a Trieste la lotta per la chiusura dell’ospedale psichiatrico provinciale di san Giovanni (Opp) si saldò con quella del comitato di quartiere di san Sabba, che protestava contro la nocività delle polveri e fumi dell’inceneritore e delle industrie inquinanti, c’era esigenza di rinnovamento, di partecipazione per una migliore qualità della vita e per costruire più ampli spazi di democrazia, contro il privilegio e l’esclusione; in quel contesto sorse la cooperativa agricola di Monte san Pantaleone che ieri ha chiamato a Trieste – in un convegno per fare il punto e trarre un bilancio di quell’esperienza di liberazione – i tanti, diversi soggetti a vario titolo impegnati sia a mantenere vivo un percorso di de-istituzionalizzazione di quell’esperienza sia a progettare con un incessante lavoro di recupero, riuso e valorizzazione di quegli spazi materiali, politiche sociali di inclusione, apertura al territorio, accoglienza e riparo per le nuove povertà ed emarginazioni che la crisi produce.

OGGI LE STRUTTURE dell’ex frenocomio comunale austriaco costruito nel 1908 (34 edifici su una superficie di oltre 160mila metri quadri) sono diventate laboratori di imprenditoria sociale, sede di cooperative, del distretto sanitario locale e dell’azienda ospedaliera, ma ci sono anche due facoltà universitarie, la scuola «Ziga Zois» con lingua d’insegnamento slovena, l’alloggio per anziani, spazi per la cultura e gli eventi, un bar e il Teatro rinnovato, che fino al 1992 era stato deposito di detersivi per l’ ospedale.

Ma non dovunque è stato così, non sempre «è stato possibile costruire benessere nei luoghi della follia» – ha detto nel suo intervento lo psichiatra Roberto Mezzina, direttore del dipartimento salute mentale dell’ azienda sanitaria triestina – «ma l’ apertura alla comunità con i laboratori, il riuso sanitario non psichiatrico, l’insediamento delle cooperative, gli eventi culturali ormai consolidati negli spazi del parco, hanno consentito la rigenerazione di tutto l’ex Opp». «Per questi motivi – ha sostenuto Nico Luciani, architetto a Venezia – l’ex Opp di Trieste si merita il premio Nobel, proposta avanzata da Giovanni Fraziano dell’Università di Trieste, che ha sottolineato l’esemplarità della’iter triestino «che ha consentito a una enclave utopica di diventare, da luogo di segregazione e dolore, un nuovo campus di esperienza e rigenerazione».

LA DISCUSSIONE si è quindi sviluppata sulle forme e modalità di intervento delle rimanenti realtà che a tutt’oggi racchiudono la memoria di un vasto patrimonio umano e culturale, ma che in molti casi hanno subìto la logica delle cartolarizzazioni e quindi la svendita e l’abbandono. Così è toccato in gran parte agli edifici e al parco di san Osvaldo a Udine, il cui manicomio ospitava sino al 1978 4.500 persone. E al manicomio dell’isola di San Clemente a Venezia, del 1873, trasformato in un resort di lusso – 51mila metri quadri di verde – dopo al svendita del 1992. È convinzione condivisa dai più, nei molti interventi che si sono susseguiti, che gli enti locali si siano dimostrati irresponsabili verso i beni comuni, mentre oggi sarebbe doveroso riconoscerne il valore e regolarne gli usi, per difendere e valorizzare quanto resta di questo inestimabile patrimonio architettonico, storico e ambientale.

C’È UN PORTALE – «Gli spazi della follia» – che illustra la mappatura dei siti interessati, sinora 43 su oltre 70 dismessi, e di quelli riportati a nuova vita: ne parla l’ architetto e ricercatore Gerardo Doti. A Pesaro l’ospedale di San Benedetto ha modificato lo stesso spazio urbano con un progetto di riconversione, pur permanendo alcune zone di criticità, mentre «l’ospedale Bianchi di Napoli, oggi completamente chiuso, versa in abbandono», ci informa Angelo de Agostino, docente all’università Federico II di Napoli. A Gorizia il progetto di rigenerazione di quel che resta del Parco, stenta a decollare, mentre il «padiglione delle agitate (edificio del 1911) cade a pezzi», ha ricordato Giuseppina Scavuzzo dell’università di Trieste.

C’È CHI, COME NUNZIA, ha realizzato nell’ex Opp della Maddalena, ad Aversa, percorsi di inserimento lavorativo per migranti, precari, disoccupati ed ex carcerati. O come Rosario Cutuli che all’ex Opp Paolo Pini ha trasformato, con la coop sociale «La fabbrica di Olinda», la (ex) camera mortuaria in bar e ristorante, che oggi danno lavoro a una cinquantina di persone. All’ex Opp di Firenze il collettivo «Percorso Psiche» – ne ha parlato Margherita Festini – è tornato ad abitare, con mille iniziative e con percorsi auto-formativi, gli spazi vuoti di quel vasto comprensorio «perché dove oggi ci sono solitudini vanno costruiti luoghi antropologici e soprattutto antropoietici» .

Con le note di je so pazzo – e con l’auspicio di Giancarlo Carena, presidente della Cna di Trieste, che l’ex Opp sia «la casa del popolo del terzo millennio» – il convegno è terminato. Ma si aggiornerà a breve, perché i tempi lo richiedono e qui tutti ne sono consapevoli.