Fase di stallo in Italia per la transizione energetica: questo lo sconsolante quadro che emerge dal rapporto Analisi del sistema energetico italiano diffuso nei giorni scorsi dall’ENEA. Nei primi sei mesi dell’anno peggiora l’indice ENEA-ISPRED che «misura» la transizione energetica sulla base dei prezzi dell’energia, della decarbonizzazione e della sicurezza: delle tre variabili prese in esame solo la sicurezza segna un andamento positivo (+5%), mentre prezzi e decarbonizzazione registrano -11% e -8%.

Mancata diminuzione delle emissioni di gas serra, rallentamento nella produzione da fonti rinnovabili e prezzi superiori alla media europea sono le principali cause di questo stallo che suona come un campanello d’allarme per il nostro Paese perché, nonostante gli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici, dimostra che si procede nella direzione sbagliata.

Finora è mancata una strategia per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, mentre gli sforzi si sono concentrati quasi esclusivamente nella promozione del gas, ignorando (volutamente) che la decarbonizzazione è possibile solo con il passaggio dai combustibili fossili al mix rinnovabili/efficienza, e non certo con un aumento del ruolo del gas che, pur emettendo meno CO2 del carbone, rimane sempre una fonte fossile. E in più non si sta utilizzando il gas quale supporto allo sviluppo delle rinnovabili, ma per l’esatto contrario: sia con il meccanismo del capacity payment nel mercato elettrico, sia con i progetti di metanizzazione della Sardegna, si sta rafforzando il gas a scapito delle rinnovabili.

Il fatto che le emissioni di CO2 siano in aumento, nonostante il rallentamento della produzione industriale e del consumo di energia, segnala non solo il mancato disaccoppiamento tra emissioni e sviluppo, ma anche la mancata innovazione del parco tecnologico e industriale. A parte la diminuzione della produzione idroelettrica legata alla siccità (dato destinato a diventare strutturale), negli ultimi anni in Italia sono diminuiti gli investimenti nelle fonti rinnovabili, per la mancanza di una politica di settore che non può essere compensata dall’approvazione, con anni di ritardo, di un decreto che riprende il sistema delle aste con contingenti del tutto inadeguati allo sviluppo delle rinnovabili. Questo intervento offre un respiro di un paio di anni, ma non sostituisce la necessaria riorganizzazione di un mercato elettrico finalizzato a raggiungere gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, già superato dalla necessità di rivedere gli obiettivi al 2030 per allinearli all’Accordo di Parigi (la Presidente designata della Commissione Europea parla di una riduzione delle emissioni del 55%, ben oltre l’attuale 40%).

Gli attuali obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni sono poco sfidanti, non agiscono da volano per il cambiamento e rischiano di condannare il nostro Paese e il suo sistema industriale a un ruolo di secondo piano nella transizione.

Si deve correre subito ai ripari, sin dalla stesura finale del PNIEC, impegnandosi su obiettivi di riduzione della CO2 più stringenti e dotandosi di strumenti efficaci per far ripartire le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica: la decarbonizzazione, infatti, rappresenta un elemento di buona salute per il sistema economico, oltre che un’ineludibile esigenza ambientale.