Il demografo Bonifazi: «Mancano i lavoratori ma si criminalizzano gli sbarchi»
Dopo l'allarme di Bankitalia Dirigente di ricerca presso il Cnr ed esperto di fenomeni migratori, afferma: «Con cali di popolazione di queste dimensioni a rischio è la tenuta dell’organizzazione sociale. Serve un intervento complessivo che investa immigrazione, natalità, scolarizzazione e sud. Favorendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro»
Dopo l'allarme di Bankitalia Dirigente di ricerca presso il Cnr ed esperto di fenomeni migratori, afferma: «Con cali di popolazione di queste dimensioni a rischio è la tenuta dell’organizzazione sociale. Serve un intervento complessivo che investa immigrazione, natalità, scolarizzazione e sud. Favorendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro»
Corrado Bonifazi, demografo, è dirigente di ricerca del Cnr presso l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps), che ha diretto dal 2014 al 2018. Autore di libri e pubblicazioni sul tema delle migrazioni, è stato responsabile del Working Group International Migration in Europe dell’European Association for Population Studies.
Bankitalia ha lanciato l’allarme: nel 2040 potrebbero esserci 5,4 milioni di persone in età da lavoro in meno. Il Pil calerebbe del 13%. È sorpreso?
Questa situazione parte da dinamiche innescate 50 anni fa. Possono cambiare i numeri, in base agli aggiornamenti delle previsioni, ma la tendenza è chiarissima da decenni. La ragione principale è la bassa fecondità italiana, che è al di sotto del livello di sostituzione. Tra le più basse in Europa, si è ulteriormente ridotta con le crisi economiche del 2008 e 2011. Ora stanno entrando in età feconda le donne delle generazioni più scarse, che quindi sono molte meno di dieci o vent’anni fa. Così il numero di nati cala vertiginosamente. Man mano che le generazioni più scarse arrivano in età da lavoro si verificano mancanze importanti.
Quali sono le conseguenze?
Tante. Il calo della popolazione in età da lavoro crea problemi di sostenibilità di tutto il sistema produttivo. È vero che ora si sta aprendo uno scenario completamente nuovo con l’intelligenza artificiale, ma è evidente che contrazioni delle dimensioni stimate, se dovessero realizzarsi, creerebbero problemi di gestione anche dei sistemi di welfare, pensionistico, sanitario. A rischio è l’intera organizzazione sociale: mancherebbero persone per i lavori essenziali.
Il rapporto di Bankitalia dice che servono più immigrati regolari. Il governo Meloni ha approvato un decreto flussi con pochi precedenti: 452mila lavoratori stranieri in tre anni. È una soluzione?
Attualmente questo meccanismo è l’unico che abbiamo per regolare l’immigrazione per lavoro, anche se presenta molti problemi e gravi inefficienze. È significativo che un governo di destra abbia adottato un provvedimento di questa portata, visto che dalla crisi del 2008 mancava o riguardava un numero ridotto di persone. Comunque non basta: servono altri strumenti.
Per esempio?
La Turco-Napolitano prevedeva l’istituto dello sponsor: una persona che vive sul territorio nazionale si assume la responsabilità per una che viene da fuori. In Italia è stato cancellato, invece in altri paesi, come il Canada, funziona. Non esiste un sistema perfetto, ma andrebbe almeno messo in piedi un modello. L’Italia è di fronte a maggiori difficoltà rispetto agli altri paesi Ue che hanno situazioni demografiche migliori. Nonostante ciò viviamo una situazione paradossale: da un lato si criminalizzano gli sbarchi, dall’altro resta un grande bisogno di lavoratori immigrati.
Quanti ne servirebbero per compensare il calo demografico?
L’immigrazione non si può calcolare solo come obiettivo demografico, per mantenere la popolazione stabile o non avere grossi effetti sulla struttura per età. Il paese dovrebbe trovare dei canali e dimensionarli anche sulle esigenze del sistema produttivo. Fermo restando l’obbligo, imposto dai trattati internazionali, di accogliere anche una certa quota di migrazioni forzate. Il problema è che negli ultimi 30 anni la questione è stata completamente distorta: l’immigrazione è un terreno dove è facile ricavare consenso agitando paure.
Quando si parla di calo demografico c’è chi sostiene l’aumento dei flussi migratori e chi le politiche a sostegno della natalità. Sono questioni contrapposte?
No, natalità e immigrazione vanno visti come due aspetti di uno stesso problema. A cui bisogna sommare: il livello di scolarizzazione e la questione meridionale. Sappiamo che i tassi di attività, che nel nostro paese sono più bassi rispetto a buona parte dell’Ue, aumentano insieme al titolo di studio. Quelli del centro-nord sono minori rispetto alle medie europee ma vicini, mentre quelli del sud stanno sotto di parecchi punti. Quindi servirebbe un intervento complessivo che investa immigrazione, natalità, scolarizzazione e Mezzogiorno. Favorendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Purtroppo, però, all’orizzonte non si intravede nulla di tutto ciò.
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