L’Italia è divisa sul femminicidio: da una parte continuano le notizie di donne uccise «in quanto donne», dall’altra il governo si affretta a promuovere il decreto di ferragosto come la soluzione alle situazioni di violenza.
Le «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», su cui oggi inizia la discussione nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della camera, più che un’azione di prevenzione e protezione che dovrebbe partire da un serio monitoraggio della realtà, sono ritocchi sul fronte penale in un pacchetto sicurezza che non è solo sul femminicidio ma che contiene anche misure di ordine pubblico. Un compromesso tra Letta e Alfano, che ha messo le donne in secondo piano, a partire dall’assenza di una ministra delle pari opportunità con pieni poteri, e dal non riconoscimento del fattore strutturale di questa violenza, vista appunto come una «emergenza». Trascurando i fattori culturali della discriminazione di genere e degli stereotipi – indicati chiaramente nella Convenzione di Istanbul e nelle Raccomandazioni all’Italia dell’Onu – il decreto non sembra rimuovere i veri ostacoli a un intervento efficace contro il femminicidio. E anche se alcune avvocate hanno accolto con favore diversi provvedimenti del dl – l’aggravante per violenza assistita dai minori, l’obbligo di arresto e allontanamento in flagranza di reato, audizione protetta in aula delle donne, comunicazione alla persona offesa di richiesta di archiviazione così come della conclusione delle indagini preliminari – rimane il fatto che l’azione punitiva, non avendo un approccio strutturato, si prospetta come una goccia nell’Oceano, soprattutto perché a costo zero e senza un reale potenziamento dell’esistente.
Per Barbara Spinelli, avvocata esperta di femminicidio e consulente Onu, «la logica di questo decreto non è basata sulla tutela dei diritti umani, ma sulla repressione. Le raccomandazioni Onu ci dicono che il principale problema in Italia è, seppur in presenza di leggi idonee, il pregiudizio di genere e la mancanza di formazione degli operatori. Perché se è vero che 7,5 femminicidi su 10 sono stati preceduti da segnalazioni alle istituzioni, allora la responsabilità è dello stato che non ha saputo affrontare in maniera inadeguata questi casi, un problema che si può rimuovere solo con un’indagine dell’esistente, che porti a una soluzione strutturale e non emergenziale. Nello specifico, questo decreto è un salto nel passato dopo tutto il lavoro che abbiamo fatto come associazioni con le Nazioni Unite, dal rapporto ombra Cedaw del 2011 in poi». «Prima di tutto – prosegue Spinelli – non si può parlare di tutela delle donne come soggetto debole, perché è contrario allo spirito della Convenzione di Istanbul. Nel decreto si introducono modifiche del codice penale, come l’aggravante del reato di violenza assistita dai minori. Ecco, su questo, per esempio, avrebbe avuto senso inserirla per tutti i reati contro la persona e la libertà sessuale, mentre qui viene introdotta solo per i maltrattamenti favorendo la prassi, già usata da alcuni pm, di indicare la persona offesa solo nella madre e la violenza assistita dal minore come aggravante, e cioè non si indica il bambino come persona offesa i cui diritti sono stati lesi, una norma che favorirà la discrezione del pm».
Ma a questo si possono aggiungere altri punti. L’irrevocabilità della querela, una scelta che può essere un boomerang in una società patriarcale e sessista, in quanto la decisione dipende da quanto la donna si sente protetta e non da altro. L’arresto obbligatorio e la nuova misura di prevenzione attivabile su segnalazione di sconosciuti, che espongono le donne a un rischio di rivittimizzazione. Gli obblighi di informazione alla donna sui provvedimenti e le misure adottate, su cui Spinelli spiega: «Il diritto a essere informate, spetta alle vittime di tutti i reati dolosi, non solo a quelle di maltrattamento. Lo sancisce l’Onu ed è previsto dalla direttiva europea già attiva dal 2012, che deve essere recepita tutta e non solo in parte. Poi ci sarebbe anche il nuovo permesso di soggiorno per le straniere vittime di violenza, che nel dl esclude quelle che non sono in pericolo di vita. Insomma il problema è molto più ampio di quello che questo decreto vuole far credere».