Il Viminale nega ogni modifica al testo del decreto sicurezza e immigrazione approvato lo scorso 24 settembre, ma il fitto scambio di pareri che da giorni intercorre tra i tecnici del ministero e quelli del Colle sarebbe arrivato a termine con un accordo su almeno uno dei punti più controversi del provvedimento: quello riguardante la possibilità di sospendere l’esame della domanda di protezione internazionale nel caso il richiedente asilo abbia commesso un reato. Una misura restrittiva particolarmente dura, priva però di alcun fondamento giuridico e che si sarebbe prestata a un’obiezione di possibile incostituzionalità da parte del presidente della Repubblica (che ieri ha incontrato il premier Conte).
La soluzione pensata dal Viminale per aggirare l’ostacolo sarebbe invece inoppugnabile: in casi di denuncia, anziché essere sospesa la richiesta di asilo verrebbe sottoposta a una procedura accelerata da parte della Commissione territoriale incaricata di esaminarla. In caso di accoglimento e quindi di riconoscimento dello status di rifugiato, il migrante che ha commesso un reato verrebbe processato. Nel caso contrario, se quindi la richiesta venisse respinta,. a quel punto il Viminale avrebbe tutte le carte in regola per procedere alla sua espulsione immediata anche in caso di presentazione di ricorso. Un’altra modifica riguarderebbe una richiesta fatta dal Mef per prevedere che le future disposizioni non comportino nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato.

Almeno per ora, invece, non sarebbe stato toccato un altro dei punti più discussi, vale a dire la possibilità di revocare la cittadinanza per i cittadini di origine straniera condannati per reati legati al terrorismo.

Stando a fonti del Viminale il decreto dovrebbe essere stato inviato a Colle ieri sera.
Intanto uno studio condotto dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, punta l’indice sulle politiche anti immigrazione del Viminale rilevando come le politiche di contrasto degli arrivi di migranti abbiano provocato un aumento di morti nel Mediterraneo.
La ricerca, che si basa sui dati forniti dall’Unhcr e dall’Oim, ha esaminato gli effetti che il giro di vite imposto negli ultimi quattro mesi dal governo ha avuto sui «viaggi della speranza». E i risultati sono drammatici.

Il calo degli arrivi comincia con l’estate del 2017. Prima di quella data ogni giorno si contavamo 12 morti in mare, scese in seguito a 3 al giorno in corrispondenza delle «politiche Minniti». Per risalire poi a 8 al giorno da giugno di quest’anno, da quando cioè sono entrate in vigore le nuove disposizioni del governo.

«A quattro mesi dall’inizio della stretta selvaggia in mare – scrive l’Ispi – appare come minimo dubbia l’utilità delle politiche di deterrenza nei confronti del soccorso in mare che a fronte di una diminuzione modesta degli sbarchi in Italia ha coinciso con un forte aumento del numero di morti e dispersi».