Il decreto flussi non piace a nessuno. Tutte le modifiche sul tavolo
Lavoratori stranieri Ieri incontro Mantovano-sindacati. Per il governo i problemi sono solo procedurali. La Cgil: «Occorre un cambio complessivo delle politiche migratorie»
Lavoratori stranieri Ieri incontro Mantovano-sindacati. Per il governo i problemi sono solo procedurali. La Cgil: «Occorre un cambio complessivo delle politiche migratorie»
Su una cosa sono tutti d’accordo: il decreto flussi non funziona. Lo dice il governo, lo dicono le parti datoriali e i sindacati. Altrettanto potrebbero testimoniare migliaia di lavoratori migranti. Ieri presso la presidenza del Consiglio dei ministri il sottosegretario Alfredo Mantovano ha incontrato le organizzazioni dei lavoratori per discutere delle possibili modifiche.
Lo scorso anno, per la prima volta, lo strumento che disciplina l’ingresso regolare della forza lavoro straniera è stato programmato su base triennale, fino al 2025, con la cifra record di 450mila posti. Nei mesi seguenti sono state segnalate irregolarità nel meccanismo, che secondo esponenti governativi sarebbe utilizzato dalla criminalità organizzata in un sistema di compravendita degli accessi al territorio. A tale proposito a giugno la premier Giorgia Meloni ha depositato un esposto alla procura nazionale antimafia.
È sul piano delle procedure che la maggioranza vuole intervenire. «In un prossimo Consiglio dei ministri intendiamo portare all’attenzione dell’intero governo, e quindi del Parlamento, dei correttivi rispetto alle anomalie riscontrate», ha dichiarato Mantovano. Le misure al vaglio sono di natura tecnica: precompilazione delle domande prima del click day – la giornata in cui i datori di lavoro fanno richiesta, in una lotteria dove vince chi arriva prima, di nulla osta per un certo numero di lavoratori -, incrocio delle banche dati per rendere più efficienti i controlli, semplificazioni burocratiche. Proprio i click day sono finiti al centro di critiche incrociate e nel futuro potrebbero essere spalmati su più date o anche aboliti (ma secondo Il Sole 24 Ore non avverrà prima del 2026).
Mantovano ritiene che le richieste di lavoratori stranieri siano «manifestamente eccedenti rispetto alla capacità di assorbimento del tessuto imprenditoriale dei territori stessi». Un’idea in controtendenza rispetto alle posizioni di molte associazioni datoriali, che negli anni scorsi hanno chiesto ripetutamente di aumentare le quote disponibili, e alla scarsità di manodopera in diversi settori produttivi.
La Coldiretti vuole una riforma del sistema che eviti gli abusi ma soprattutto garantisca la certezza dei tempi: «capita spesso, infatti, che il lavoratore arrivi quando l’attività di raccolta per le quali era stato chiamato sono già terminate». La principale organizzazione di rappresentanza del comparto agricolo chiede il superamento delle quote per le conversioni da permesso stagionale a tempo determinato o indeterminato in modo da avere a disposizione una forza lavoro più stabile ed evitare di dover cercare nuovi stagionali ogni anno.
Per la Cgil, invece, i problemi non si limitano agli aspetti procedurali ed è ormai necessaria una trasformazione più profonda della materia. «Le modifiche alla disciplina dell’ingresso per lavoro dei cittadini stranieri in Italia da sole non bastano, occorre un cambio complessivo delle politiche migratorie, a partire dall’abolizione della legge Bossi-Fini. Serve una riforma d’insieme, abbandonando un approccio tutto incentrato sull’ordine pubblico, la sicurezza e la repressione, come quella che il governo continua a praticare», ha affermato ieri la segretaria confederale del sindacato Maria Grazia Gabrielli.
La Cgil avanza proposte precise: sanzioni per le aziende che fanno richiesta di nulla osta ma poi non attivano il contratto di lavoro, un permesso di soggiorno per attesa occupazione e la reintroduzione della figura dello sponsor, ossia un soggetto individuale o collettivo che si fa garante della persona che entra per cercare un impiego.
Soprattutto, afferma Gabrielli, serve una procedura di regolarizzazione delle persone che non hanno un titolo valido di soggiorno e una forma di protezione speciale dei lavoratori che denunciano situazioni di irregolarità e sfruttamento.
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