Un accumulo, una sovrapposizione di desideri e di istanze anche contraddittorie: di liberazione, comunicazione, nuovi comportamenti, politica.

Un motore: del quale gli studenti, dai licei alle università, si sono fatti protagonisti: «movimentando» l’entusiasmo per la democrazia diretta e dei Consigli, l’anticonformismo, l’esperienza del nuovo e addirittura dell’impensabile – «immaginazione al potere», «siate realisti, chiedete l’impossibile!» – l’afflato con la classe operaia e le sue lotte.

Ha sostenuto l’ascesa della sinistra e delle sue conquiste sociali, ha liberato al suo interno la nascita del femminismo, la consapevolezza della subalternità di genere, di classe, di cultura: ma non ha evitato la pervasiva corrente di intolleranza che, accanto ai desideri eutopici e alle pratiche libertarie, ha accompagnato la sua metamorfosi nel decennio successivo.

Il Sessantotto, esplosione inattesa di radicalità, diffusione, partecipazione, è tuttavia da considerarsi approdo e culmine delle «insoddisfazioni per lo stato delle cose esistenti» maturate fin dalla fine degli anni Cinquanta.

Nell’ambito delle arti – ma anche in quello della politica – nel nostro Paese questo processo è evidente. Tutti gli anni Sessanta, in particolare i primi, hanno contribuito, inconsapevolmente, a preparare il Sessantotto: il quale ha fornito alla varie linee di tensione accumulatesi una cornice ideologica e una serie di obbiettivi: non tutti realistici né praticabili, ma che sono riusciti a modificare, permanentemente, costumi individuali e comportamenti sociali. E anche la moda e il design.

Se il Sessantotto della contestazione e del Movimento studentesco inizia nel ’67 con l’occupazione dell’Università a Pisa, e a Torino qualche mese prima del Maggio parigino, è il 1960 l’anno che inaugura il decennio delle svolte.

Nelle arti plastiche, dalla crisi dell’Informale, l’Arte Povera e la Land Art aprono una fase di vera e propria guerriglia semiologica su materiali espressivi, modalità compositive, luoghi e spazi dell’esposizione che ha profondamente modificato le pratiche della scultura e della pittura: e il mestiere stesso del curatore o del critico.

Nel cinema, dall’esaurirsi del neorealismo che vira in commedia, crescono prepotentemente le nuove autorialità, il racconto non lineare e il montaggio moderno inaugurati da Antonioni, il cinema sperimentale, le nuove medialità, l’esplorazione dei linguaggi inediti delle cineprese e delle videocamere leggere.

Nella radio e nella tv inizia a modificarsi la stessa comunicazione istituzionale: dal nuovo sound di Bandiera gialla al minimalismo scenografico e attoriale di Studio Uno.

Il teatro (riallestito in installazioni: e in radio, tv, video, fotografia, film) di Quartucci e Tatò, Bene, Fo, Barba, Ronconi, trasforma la scena annientandola, riposiziona il personaggio e il testo, si mette «in viaggio» con Compagnie mutate in Laboratori.

In letteratura e in poesia la ricerca di nuove espressività è altrettanto effervescente: dal decostruzionismo del Gruppo 63 di Balestrini, Sanguineti e Pignotti alla «sfida al labirinto» di Calvino; dalle esperienze italiane di nouveau roman alla neolingua e all’aspirazione sinestetica di Gianni Toti.

E così la musica, vivacemente orientata alla scoperta dell’arcaicità popolare come autenticità, all’entusiasmo per il «live», alla scoperta dell’elettronica e dell’elettroacustica.

Einaudi e Feltrinelli traducono i filosofi, i sociologi e gli psicoanalisti della Scuola di Francoforte e del pensiero dissidente: ma sono il ciclostilato e le fotocopie le pratiche inedite di editoria diffusa. E «no logo» per scelta.

Tante correnti, trasversali a tutte le arti, sempre meno sperimentali e sempre più avviate alla conquista degli spazi istituzionali, che avviano pratiche diffuse di spostamento semantico, critica alle ideologie dominanti, nuove attorialità, riposizionamento dei materiali espressivi, spiazzamento del crocianesimo dominante.

Tutto questo approda al Sessantotto degli studenti, che divenne immediatamente anche quello degli artisti e con più resistenze quello degli operai; che riscopre Marx fuori dai canoni a partire dai Quaderni Rossi di Panzieri, Gramsci nella sua radicalità e modernità, il pensiero critico quale antidoto alla società dello spettacolo e alla medializzazione del capitalismo.

Pratiche di dis-locazione dei linguaggi e delle modalità comunicative; e di ri-locazione in inedite relazioni espressive: affiches, manifesti murali, fotografia, cinema militante, videotape, installazioni, collages… Tutto ciò, allora, si diceva «controinformazione».

E tuttavia ha segnato l’alba di quell’intreccio creativo tra le arti e i linguaggi della comunicazione che proprio negli anni Sessanta venne chiamata «intermedialità»: segnando un ponte verso il secolo successivo e l’inizio della crisi del ‘900.