Israele è impegnato in un processo elettorale più che problematico. Molti sottolineano la grande importanza di queste elezioni. Ma in realtà sembra che si stia discutendo solo della possibilità di mettere fine al regno di Benjamin Netanyahu.

Pace, guerra, una democrazia-etnocrazia che sta collassando, milioni di palestinesi sottoposti a un’occupazione brutale e sprovvisti dei più elementari diritti politici e umani: tutti questi elementi non sembrano far parte della discussione.

I tribunali dovranno occuparsi delle accuse mosse dalla procura generale contro il premier Netanyahu: frodi, tangenti e corruzione.

Gli attacchi sembrano non tenere conto di quello che inizia oggi a essere oggetto di studio: Trump, Bolsonaro, Berlusconi, Netanyahu e altri sono fenomeni che dimostrano come la corruzione non sia necessariamente un fattore che impedisce alle masse degli elettori di preferire politici corrotti. La corruzione, le «scarse virtù» sembrerebbero anzi fungere da elemento di attrazione, più forte quando i leader affermano di dover affrontare un nemico esterno.

La politica della paura è la peggiore consigliera. Per il premier Netanyahu non si tratta solo di una questione ideologica o politica: siccome le accuse della Procura potrebbero aprigli le porte di una cella, è disposto a tutto. Pur di evitare il processo ha lanciato una campagna di odio e razzismo senza precedenti.

Per aumentare le possibilità di trionfo, Netanyahu ha consolidato un partito di estrema destra incorporandovi addirittura elementi che fino a poco tempo fa non facevano parte della politica legale. Quando negli anni 1980 il rabbino Kahane fu eletto al Parlamento, un deputato del Likud pubblicò un testo nel quale mostrava le analogie tra le propose di legge del religioso e le leggi razziali dei nazisti a Norimberga nel 1935.

Uno dei candidati della lista che Netayahu si è adoperato a consolidare si vanta di una foto tuttora appesa a casa sua: il dottor Baruch Goldstein che nel 1994 assassinò 29 palestinesi presso la tomba di Abramo a Hebron. Dieci anni di Netanyahu hanno consolidato diversi processi, gravi per il futuro della società israeliana: in primo luogo il premier ha declassato la pace a obiettivo non necessario.

È la forza ad assicurare il futuro di Israele e la «pace di Oslo» ha provocato terrore in Palestina. In secondo luogo, la presunta democrazia israeliana ha patito processi pesanti che fanno presagire conseguenze gravissime in un futuro prossimo. In terzo luogo, il neoliberismo si è profondamente radicato nella vita economica e sociale degli israeliani; i suoi valori sono oggi predominanti.

Gli «arabi», i cittadini palestinesi di Israele, sono terroristi, i loro partiti vogliono la distruzione dello Stato, la sinistra – bollata come traditrice della patria – costruirebbe un governo fondato sull’appoggio degli arabi…e tutti quelli che non fanno parte della coalizione attuale sono «sinistra». Per questo, il partito di Benjamin Gantz – Blu e Bianco – che sembra godere di un sostegno più forte di quello del Likud, ha dichiarato che non cercherà l’appoggio dei partiti arabi.

Gli attacchi di Hamas. La scorsa settimana il grande Trump ha aiutato la sceneggiata creata da Netanyahu e gli ha regalato le colline del Golan – territorio siriano – contro il parere della maggioranza degli Stati europei. Netanyahu già immaginava un solenne discorso davanti alla lobby pro-isreaeliana, che lo avrebbe aiutato alle elezioni. Ma Hamas ha deciso di rovinargli la festa.

Un missile è arrivato al centro di Israele dopo settimane di imponenti proteste palestinesi a Gaza contro il governo dei Fratelli musulmani, protagonisti di una violenta repressione delle proteste interne. Netanyahu, che ha interrotto il viaggio ed è tornato furioso, è stato il più moderato dei politici israeliani, i quali – a eccezione di una risicatissima sinistra – già immaginavano scenari di distruzione per punire i palestinesi. Netanyahu e Hamas avevano un obiettivo comune: dar fuoco alle polveri ma far sì che l’intervento egiziano permettesse di arrivare a un accordo.

Hamas, che ha bisogno di mostrare ai palestinesi di essere capace di migliorare la situazione di due milioni di persone a Gaza, è lo strumento migliore per la politica di annessione della destra israeliana. Già nel 2005, quando il premier Sharon portò Israele al ritiro unilaterale da Gaza, iniziò il processo destinato a separare la Striscia dalla Cisgiordania e a dividere i palestinesi fomentando le rivalità interne. Senza unità palestinese non ci sarà pace.

Continuare con la politica attuale significa un assedio permanente a Gaza e al tempo stesso un ulteriore indebolimento del già fragile governo di Abu Mazen e dell’Olp in Cisgiordania. Quando Trump «legalizza» la presenza israeliana nel Golan, la destra chiede di applicare la stessa tattica in Cisgiordania. I 363 chilometri della Striscia di Gaza non hanno grande importanza per gli annessionisti e in più sono popolati da quasi due milioni di palestinesi.

L’unica democrazia. La trita favoletta dell’«unica democrazia» in Medio Oriente, che sempre più si è rivelata come un regime autocratico, aveva già subito un duro colpo con l’introduzione della «legge della nazione» che molto chiaramente ha trasformato i palestinesi di Israele (nei confini del 1967) in cittadini di seconda classe.

Il trionfo ideologico del premier e della sua parte politica viene dal concetto oggi radicato di una destra che si radicalizza ogni giorno di più, adottando concezioni totalitarie e razziste. Che non solo a destra, ormai, sembrano «normali» a molti. I partiti della destra israeliana propongono oggi una serie di progetti che trasformerebbero la divisione dei poteri, sottoporrebbero il sistema giudiziario alla volontà dei partiti, la cosiddetta «volontà popolare», permetterebbero l’espulsione di palestinesi, la confisca di terre e tutto quello che occorre per rafforzare il nazionalismo fascista.

L’indignazione davanti alla corruzione, la stanchezza suscitata dalle pericolose manovre del governo, e forse anche un po’ di vera preoccupazione per il futuro di Israele hanno portato il comandante dell’esercito Benjamin «Benny» Gantz ad avviare un processo politico che oggi sembra minacciare l’egemonia del Likud e di Netanyahu.

Il partito bianco-azzurro di Gantz potrebbe ottenere più seggi del Likud, ma comunque per il momento i partiti della destra hanno la maggioranza. È difficile prevedere che cosa succederà il giorno del voto e il Likud di Netanyahu continua a riservare sorprese molto problematiche.

Ma le elezioni potrebbero scatenare processi che non colpirebbero solo, e gravemente, la società israeliana, ma minaccerebbero l’intera regione.