I primi segni di debolezza dell’apparentemente monolitico centrosinistra renziano arrivano dal Piemonte. Il governatore Sergio Chiamparino ha ieri dato le dimissioni dalla guida della Conferenza delle Regioni, ufficialmente a causa della difficilissima situazione del bilancio del Piemonte, che ha un disavanzo da 5,8 miliardi. Lo stesso Chiamparino ha spiegato in una nota che «una Regione in queste condizioni non può stare in testa alle altre. Devo dedicarmi di più al Piemonte».

Il buco di bilancio della Regione, in assenza di decreto del governo denominato «salva Piemonte», genera un piano di rientro draconiano: ottocento milioni di rata a copertura del debito per sette anni, a fronte di una disponibilità di risorse di appena quattrocento milioni.

Le origini del debito del Piemonte sono note: Chiamparino eredita buchi di bilancio catastrofici generati dalla giunta del leghista Roberto Cota che, a sua volta, incolpava la precedente legislatura guidata da Mercedes Bresso.
Inoltre, circa tre miliardi dei quasi sei che compongono l’attuale buco sono imputabili all’interpretazione del decreto 35 che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima. «Se non avessimo questo problema – ha dichiarato l’assessore regionale al bilancio Aldo Reschigna – il debito sarebbe di 1,3 miliardi di euro e la rata annuale di 230 milioni, che comunque, nonostante le difficoltà, abbiamo previsto di restituire». Il Piemonte in questo primo anno di amministrazione Chiamparino ha dovuto affrontare dure polemiche relative alla riorganizzazione del settore sanitario, ovviamente non indolore.

E forse le dimissioni, poi congelate, dell’ex sindaco di Torino derivano proprio dal nuovo imprinting privatistico che il governo vuole portare avanti sulla sanità. Le tensioni tra regioni e governo sono molto forti perché le prime si troverebbero di fatto a dover fronteggiare l’ennesimo taglio delle risorse. Da qui, lo strappo del presidente del Piemonte, il cui malessere pare abbia una origine nel rapporto ormai gelido con il governo e, in particolare, alla lacunosa interlocuzione con il presidente del consiglio Matteo Renzi. Chiamparino e l’attuale segretario del Partito democratico hanno sempre avuto un buon rapporto, ma la deriva mercatista in campo sanitario del premier sarebbe indigeribile.
Le Regioni potrebbero subire un salasso insostenibile: il Fondo sanitario nazionale scenderebbe alla soglia di sopravvivenza di 111 miliardi (ne erano stati promessi oltre 113 solo in luglio).

Non solo, l’intera gestione da parte delle Regioni del settore sanitario è stata ieri attaccata dal governo, nella persona del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, dell’Ncd, secondo cui «la sanità delegata alle Regioni è stata un errore fatale». Il governatore della Toscana Enrico Rossi ha risposto che «se il governo ha lo stesso giudizio della Lorenzin è bene si prenda il settore e lo gestisca».

L’asse apparentemente anti renziano che prende corpo tra Toscana e Piemonte trova conferma in una successiva dichiarazione, sempre di Sergio Chiamparino: «Io sposo in pieno queste parole, tra cinque anni faremo un confronto e vedremo se la sanità della Toscana, dell’Emilia-Romagna o del Veneto saranno gestite meglio con una gestione centralizzata. Queste parole sono la cartina di tornasole del giudizio che si ha sulle regioni e un chiarimento serve a questo punto anche sul ruolo che si pensa che le regioni debbano avere»