Cultura

«Il De Martino» rilancia nel segno dell’indagine e della storia orale

«Il De Martino» rilancia nel segno dell’indagine e della storia oraleUn'immagine dall'interno dell'Istituto Ernesto De Martino a Sesto San Giovanni tratta dal sito www.iedm.it

Il trentennale della rivista Un nuovo ciclo di pubblicazioni, ad uscita semestrale, a suggello della sinergia sviluppata dall’Istituto che porta il nome dell’antropologo e studioso delle culture popolari napoletano con l’Associazione italiana di storia orale, il Circolo Gianni Bosio, la Lega di Cultura di Piadena e l’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Toscana. L’impegno a rimettere «occhi e orecchie sui territori, tra radici lunghe e nuovi inizi»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

Sono fili, segnali e ipotesi di indagine che tornano ad intrecciarsi in maniera feconda per riprendere il racconto del lato in ombra delle nostre società. Dopo trent’anni di attività, e trenta numeri all’attivo, la rivista Il De Martino rilancia inaugurando un nuovo ciclo di pubblicazioni a suggello della sinergia sviluppata dall’Istituto che porta il nome dell’antropologo e studioso delle culture popolari napoletano, e ne prosegue l’opera, dapprima dal 1966 a Milano e dal 1996 a Sesto Fiorentino, con l’Associazione italiana di storia orale, il Circolo Gianni Bosio, la Lega di Cultura di Piadena e l’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Toscana.

L’IDEA ALLA BASE della nuova proposta della rivista, che esce ora a scadenza semestrale, è quella di raccogliere e sviluppare l’eredità del lavoro fin qui svolto, aprendosi contemporaneamente a «nuove prospettive di ricerca e di intervento».ù

Che accanto alle «storie, voci e suoni» che costituiscono il retroterra dello sguardo da cui muove Il De Martino, si vadano sedimentando altri orizzonti tematici è del resto ben evidenziato dagli ultimi due numeri della rivista che inaugurano il rinnovato profilo della testata.

COSÌ, NEL NUMERO 31, un’ampia rassegna di interventi si misura con una condizione come quella della pandemia che ha coinvolto tutti, compresi gli stessi ricercatori, ma che in questo caso viene esaminata da un’inedita angolazione, vale a dire quella delle storie orali «nel tempo del Covid-19». Un contesto, quello pandemico, che ha posto non pochi interrogativi a una disciplina e a un modo di indagare la società che scava anche nelle memorie individuali, nelle dinamiche della vita quotidiana spesso tralasciate dalle «grandi narrazioni». Non a caso, come spiega l’antropologa Riki Van Boeschoten, presidente dell’Associazione greca di storia orale, illustrando il progetto lanciato dalla Columbia University per creare «un archivio pubblico sulla storia orale» che documenti l’impatto del virus nella vita degli abitanti di New York, delle pandemie del passato è rimasta spesso una scarsa memoria proprio perché non si sono attivate forme di auto-narrazione e di raccolta di tali testimonianze in grado di «parlare» alle generazioni successive.

La storia orale, viene ribadito nelle pagine della rivista, non è perciò una pista di ricerca in qualche modo «minore», ma uno strumento in grado di affrontare anche la complessità dei maggiori temi sociali, culturali o politici della nostra epoca, mettendo inoltre in campo l’empatia insita in un metodo di indagine fondato in larga misura sulla prossimità.

IN TALE PROSPETTIVA, anche il focus tematico che caratterizza il numero 32 della rivista offre un approccio inedito alla storia del Pci, di cui si è celebrato lo scorso anno il centenario della fondazione. Si va dalle bellissime foto di Giuseppe Morandi che ricordano la Festa dell’Unità di Piadena negli anni Sessanta, all’inedita e suggestiva analisi del rapporto del Partito con «la popular music e la discografia antagonista» che firmano Antonio Fanelli e Jacopo Tomatis in un intervento dal titolo «I dischi del Pci», fino all’itinerario nel «Comunismo immaginario» che compie Sandro Portelli rielaborando alcuni testi usciti in origine all’inizio degli anni Ottanta su quello straordinario laboratorio delle culture popolari che furono I Giorni Cantati. Tra letture «contadine» di un Dante profeta del comunismo e il riemergere di una memoria popolare di Gramsci, Portelli ricorda come «nel mondo popolare il comunismo è stato sia dottrina sia desiderio, immaginazione, sogno, poesia».

QUASI UNA DICHIARAZIONE d’intenti per chi, come la redazione de Il De Martino, immagina la ricerca nel segno della storia orale come un primo seducente segnale di cambiamento. «C’è una tradizione da rinnovare e c’è tanto da fare per raccontare l’Italia, il mondo e le loro storie, rimettendo occhi e orecchie sui territori, disseppellendo talvolta radici lunghe e talaltra documentando tagli, strappi e nuovi inizi che spesso non conosciamo anche perché ormai quasi nessuno sembra interessato a raccontare le realtà locali, le vaste periferie sociali, i soggetti non egemoni».

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