Nel toto nomi dei silurabili c’è chi ci mette anche il suo. Ma la ministra Annamaria Cancellieri ieri non sembrava molto preoccupata dello scenario di un possibile rimpasto di governo: «Sono cose che non mi appartengono; decida la politica», ha risposto a chi le chiedeva se si sente a rischio. E in effetti a parte il dato oggettivo che un Guardasigilli non si sostituisce a cuor leggero e un ritorno alle camere per un voto di fiducia non è ancora proprio all’orizzonte, Cancellieri ieri aveva una sola preoccupazione: ricucire lo strappo – mediatico più che reale, lanciato dal sito di Dagospia – che si è aperto sabato scorso tra il suo dicastero e il vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ieri sera la ministra ha convocato di nuovo il capo del Dap Giovanni Tamburino e i due vice, Luigi Pagano e Francesco Cascini, che si erano detti pronti alle dimissioni dopo una tesissima riunione a 11 (sei dirigenti del Dap e cinque responsabili ministeriali) in via Arenula, giovedì pomeriggio, programmata da tempo per verificare i progressi del piano «strutturale» di riforma carceraria presentato nel novembre scorso a Strasburgo.

Di dimissioni in blocco non si parla più, per il momento, e – ormai superata la buriana sull’affaire Giulia Ligresti – si allontana anche, per Cancellieri, il rischio di una sostituzione. Che comunque renderebbe più difficile rispettare la scadenza fissata a maggio prossimo dalla Corte europea dei diritti umani, termine entro il quale l’Italia deve tornare nel solco costituzionale della pena detentiva. Ma è proprio questo uno dei punti del contendere. Perché se da un lato la ministra Cancellieri e la commissione ad hoc da lei istituita nel giugno scorso con a capo il professore Mauro Palma sembrano premere per una vera riforma del sistema penitenziario – su più piani: quelli normativo ed edilizio ma anche quello organizzativo – da parte loro i vertici del Dap stanno sulla difensiva, intenti piuttosto a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per “accontentare” Strasburgo.

L’aria in effetti era già un po’ tesa da quando la ministra aveva pubblicamente sconfessato i dati del Dap sul numero di posti letto disponibili in carcere (in favore di quelli reali conteggiati dall’associazione Antigone). Ma il boccone difficile da mandare giù è stata la visita che Cancellieri e Palma hanno improvvisato qualche giorno fa al carcere viterbese Mammagialla, senza preavvisare il Dap. Gli esiti dell’ispezione sono costati a Tamburino e ai suoi vice una “sfuriata” della ministra, arrabbiata per l’impasse subito dal piano carceri presentato a Strasburgo.

Secondo Dagospia, però, la Guardasigilli avrebbe intenzione di nominare Mauro Palma a capo del Dap, mandando a casa Tamburino. Mentre alcuni sindacati di polizia penitenziaria, come l’Osapp, arrivano ad accusare Palma di comportarsi «come fosse un viceministro» e immaginano già un ministero della Giustizia che cambia nome in «Ministero dei Reclusi e delle Pene Alternative». In realtà l’ex presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e tra i fondatori dell’associazione Antigone spesso e volentieri – perfino eccessivamente, secondo alcuni – ha promosso un cambiamento nell’organizzazione penitenziaria a partire dal coinvolgimento del personale carcerario. Dal ministero, comunque, smentiscono qualunque ipotesi di Palma a capo del Dap.

Restano sul tavolo però numerosi problemi perché, seppure si riesca a superare entro maggio il problema del sovraffollamento, tornare nel «solco costituzionale della pena» significa ripensare in modo sostanziale la vita detentiva, dalla socialità al lavoro, da una più equa distribuzione negli istituti dei tossicodipendenti e di altri casi “difficili”, al rispetto del corpo dei reclusi (molti per esempio lamentano un numero troppo alto di “incidenti” avvenuti ai detenuti del Mammagialla).