Il Global Terrorism Index (Gti), report annuale del think tank inglese Institute for Economics and Peace, definisce il terrorismo come «la minaccia o il ricorso all’uso della forza e della violenza, da parte di un attore non statale, per raggiungere un obiettivo politico, economico, religioso, sociale attraverso la paura, la coercizione o l’intimidazione».

Per la prima volta dal 2014, Daesh (Siria e Iraq, ndr) non è più il gruppo terroristico più mortale al mondo (- 69% degli attacchi), soppiantato dalla rinnovata attività dei talebani in Afghanistan (primo nella classifica in termini di vittime). Per quanto riguarda Boko Haram, è ancora l’organizzazione terroristica africana più attiva, nonostante le divisioni.

Cinque nazioni africane sono tra le prime 10 di quelle con il più alto aumento di morti legate al terrorismo: Nigeria (+ 508), Mali (+ 286), Mozambico (+110), Burkina Faso (+ 40) e Ciad (+ 34). Tra il 2002 e il 2018, l’87% dei decessi si è concentrato in dieci paesi: nel Maghreb-Medio Oriente con quasi 93.000 vittime, 45.000 nell’Africa sub-sahariana.

Ancora una volta, ad eccezione dell’Afghanistan, i dieci paesi la cui economia soffre di più dal terrorismo sono tutti africani e arabi: in ordine, Iraq, Nigeria, Repubblica centrafricana, Siria, Mali, Libia, Somalia , Sudan del Sud e Yemen.

Il report registra una riduzione degli atti terroristici nel mondo, ma rileva che non è giunto il momento del trionfalismo. Stiamo assistendo ad una frammentazione di nuovi gruppi nati ed affiliati dopo la caduta dello Stato islamico, con oltre 40 nuove formazioni che si sono costituite dal 2017.