Una sconfitta tombale per la sinistra italiana, la chiusura definitiva di un ciclo. Quando, come è accaduto il 26 maggio, si prende l’1,7% non si tratta di una sconfitta come le altre da cui si possa uscire magari con un congresso straordinario.

La sonora batosta riguarda certo il Pd, con la sua crisi di senso a fronte del governo giallo-verde, ma soprattutto parla alla sinistra radicale e alla sua ultima lista in ordine di tempo: La Sinistra. Manca sia il centro-sinistra, sia la sinistra. La vera forza dei giallo-verdi è questa.

Per il Pd la minima ripresa percentuale rispetto al disastro delle politiche non ha risolto i problemi di fondo. Chi credeva (e crede) che superato Renzi tutto sarebbe ripreso come prima, evidentemente non realizza che la sconfitta del 2018, e quella ancor prima al referendum costituzionale, hanno segnato un punto di non ritorno. È stato vulnerato l’intero progetto-Pd, la sua idea di politica, di democrazia, di alternativa, di modernizzazione del sistema politico e di compimento della democrazia.

Per altro lo scandalo che ha coinvolto Lotti e pezzi del Csm svela i termini di una crisi che sembra aver aggredito le fibre profonde della democrazia. Se il nuovo presidente dell’Anm Poniz ha potuto dire che la magistratura italiana ha «una gigantesca questione morale» e Luigi Ferrajoli scrivere sul manifesto di «traffici penosi» e «degenerazione di talune correnti dell’Associazione magistrati in oscuri gruppi di potere», la misura evidentemente è colma.

Vista dal versante del Pd questa situazione conferma che “Mafia Capitale” non ha insegnato niente. Quel partito rimane preda di pratiche oscure, extraistituzionali, all’epoca anche di rilievo penale, da cui non riesce a liberarsi. Mancano le risorse, gli anticorpi, le energie nuove. Manca una idea di politica, di prospettiva, di alternativa. Aver scelto una figura minore e debole come Zingaretti per cercare di uscirne è sintomatico. E che pezzi di sinistra abbiano deciso di candidarsi con il Pd “da Calenda a Tsipras” lo è nondimeno. Tanto più che l’ultima direzione ha ribadito la «vocazione maggioritaria» del partito.

A sinistra per le europee si è improvvisata una lista con Rifondazione per evitare l’onere della raccolta delle firme. Ma sulla base di cosa si chiedono i voti? Il verdetto degli elettori è senza appello: dopo Sinistra Arcobaleno, Lista Ingroia, Lista Tsipras, Leu. Dio acceca coloro che vuole perdere, altrimenti non si spiega.

Dal 2008 non ne siamo più venuti fuori. Sconfitta tombale soprattutto per un intero ceto politico. Fallimenti, opportunismi, trasformismi di un ceto politico che dal 2007 ha impedito la nascita di un nuovo partito di sinistra in Italia, senza mai un’autentica assunzione di responsabilità. Da qui fenomeni come il “campo progressista” passato armi e bagagli nel Pd e la parabola di Zedda, che ha lasciato Cagliari per l’avventura in Regione e alla fine ha perso l’una (consegnando la città a un fascista) e l’altra (andata a Salvini). Emblematico il parallelo con Veltroni, che lasciò Roma ad Alemanno per tentare l’avventura delle politiche. Perse l’una, le altre e pure la carica di segretario (a seguito sempre della fatal Sardegna).

Ha scritto bene Fulvia Bandoli sul manifesto: «Anche chi non aderì al Pd porta la pesante responsabilità di non aver dato vita, in 12 anni, a un soggetto politico con qualche senso».

La soluzione di continuità deve essere inequivoca: nessuno dei gruppi dirigenti di Si e Rifondazione potrà essere alla guida del processo che è necessario innestare. I rispettivi congressi dovranno dare luogo a leadership provvisorie e alla messa a disposizione per un progetto più ampio.

A partire da un doppio scarto: dal Pd e da Si. Solo la scelta di pensarsi del tutto al di fuori della logica del centro-sinistra può cambiare nel profondo la scena politica italiana. Fissare un punto fermo servirà tanto a favorire il processo di superamento del progetto-Pd, quanto a riallacciare i legami con quei settori sociali che in questi anni si sono volti verso i 5Stelle o addirittura la Lega. Come ha scritto Ilvo Diamanti «gli operai guardano altrove. A centro-destra. E a Destra».

Questa deriva politica e sociale però si contrasta non con un populismo o sovranismo ‘di sinistra’, ma appunto con un più alto livello di proposta politica, fatto di rappresentanza sociale, sintesi egemonica, nuovi gruppi dirigenti, nuove idee.

Dopo, soltanto dopo, in un altro quadro e con altri soggetti, potrà tornarsi a parlare di alleanze e di liste.