Del doppio carattere di terrore e meraviglia, si ammanta ogni creatura fantastica. Le fiabe e le leggende popolari sono cariche di quel fondo magico in cui gravitano personagge come Baba-Yaga, che volava su un mortaio condotto da un pestello. Una strega, significato che tuttavia all’interno della storia delle donne assume i tratti drammatici e persecutori ai danni di esistenze non conformi alla tradizione dominante.

Quando Thérèse Clerc, femminista e attivista francese scomparsa il 16 febbraio a Parigi all’età di 88 anni, decide di fondare la «Maison des Babayagas», residenza autogestita e collettiva a Montreuil per sole donne, aveva forse in mente entrambi i significati. Clerc comincia la sua attività politica aderendo prima al «Mouvement de libération des femmes» e in seguito al «Mouvement pour la liberté de l’avortement et de la contraception».

Quelli tra i Sessanta e i Settanta sono anni febbrili, di straordinaria radicalità. Le lotte intraprese non sono tumultuose solo in un orizzonte di giustizia sociale ma anche per la propria vita, in rivolta con le sue iniziali scelte borghesi la femminista decide infatti di acquistare, a Montreuil, un appartamentino che diviene ben presto fucina politica di riunioni e incontri. Sono questi scambi che a un certo punto le sono sembrati irrinunciabili al punto di immaginare, alla metà degli anni Novanta, una casa collettiva per sole donne over 60. Tuttavia, il progetto viene letteralmente ignorato dalle autorità e quindi, privo di risorse finanziarie, rimane tale fino al 2003, anno in cui – in seguito a un’ondata anomala di caldo estivo – muoiono quindcimila tra anziane e anziani e «Le Monde» scrive un articolo raccontando della proposta di un’associazione di femministe che annunciava un modo eccentrico e interessante di pensare la vecchiaia.

Thérèse Clerc non ha mai inteso chiedere sostegno per una casa qualsiasi, il suo è un ragionamento che punta più in alto; si tratta infatti di considerare l’ipotesi di una convivenza tra donne che riflettano sulla vecchiaia come una ulteriore «stagione di libertà» e non di scacco. Niente case di cura classiche, niente famigliari che accudiscano le vulnerabilità dei propri congiunti ma soprattutto niente solitudine in cui spesso vive chi si avvia alla vecchiaia. Ciò che sta alla base del progetto sociale di Clerc, di cui la maison è stata inaugurata solo tre anni fa, è invece una questione di metodo: intendere il proprio corpo come la scommessa di un’autogestione ancora possibile, quando non si è più giovani ma non per questo si deve restare spossessate dei propri desideri. Quindi laboratori per tutte, di critica sociale, ecologia e sostenibilità, cittadinanza attiva e istruzione, affettività conviviale e circolante.

Danielle Michel-Chich, autrice della biografia Thérèse Clerc. Antigone aux cheveux blancs (des femmes), la descrive come una donna solare, gioiosa anche dopo più di quarant’anni di attività politica accanto alle donne; in effetti rara è sempre stata la sua tenacia, il suo accordare la fatica delle relazioni tra donne con il convincimento incrollabile che da esse provenga anche una straordinaria forza. Ad averglielo insegnato è stata la passione per il femminismo: «vivere a lungo è una buona cosa, ma invecchiare bene è meglio».

Beate le donne – amava dire – che riescono a confondere le frontiere, i confini, perché a schiudersi è il mondo intero che, come già auspicava Virginia Woolf, diventa il loro paese. Felici le donne che sono capaci di allontanarsi dalle «rive dei Padri» e ne rifiutano il seduttivo privilegio, gettano infatti le proprie reti in acque tranquille, fanno arretrare la violenza. Con questo tono evocativo, laico ma non a caso carico di fiducia militante, Thérèse Clerc ribadisce il leitmotiv di una vita colma di speranza verso le proprie simili. Non è da tutte, certo, ma quando il femminismo è invenzione creativa accade che il campo di battaglia fiorisca di piccole ma miracolose beatitudini.