Anticipata la scorsa settimana dalla Sesta commissione, la bocciatura è diventata ufficiale ieri pomeriggio quando il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha votato a maggioranza (19 contro 6) il parere sul decreto sicurezza richiesto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Troppe le «criticità» presenti nelle misure previste dal provvedimento e tali – evidenzia il Csm – da renderlo fortemente a rischio di incostituzionalità. Un parere esclusivamente «tecnico», come più di un consigliere ha voluto specificato per sgomberare il campo da possibili equivoci e strumentalizzazioni. Sottolineatura che però non è bastata per evitare una spaccatura interna al Consiglio, con i membri laici della Lega e del M5S che hanno votato contro il parere o si sono astenuti, come ha fatto anche uno dei relatori, Alberto Maria Benedetti, laico in quota 5 Stelle. Una scelta che ha provocato l’immediata reazione da parte del Pd: «Appare decisamente grave che alcuni consiglieri del Csm si comportino come se fossero organici a un partito politico», ha attaccato il dem Ubaldo Pagano prendendo di mira proprio i consiglieri eletti su indicazione del M5S, sospettati di aver obbedito a «un ordine di scuderia».

Nel merito, il giudizio del Csm sulle nuove misure introdotte è pesante, in particolare per quanto riguarda le norme riguardanti l’asilo e i migranti. Uno dei rilievi riguarda l’estensione dei reati per i quali è possibile revocare o negare la protezione internazionale. «L’ampliamento appare per alcune fattispecie non pienamente rispettoso degli obblighi costituzionali», è scritto nel parere. In base alle nuove norme, infatti, se un richiedente asilo o un rifugiato commettono un reato contro il patrimonio possono essere rimandati nel Paese di origine dove la loro vita sarebbe molto probabilmente a rischio. Per il Csm la sproporzione tra il crimine commesso e le possibili conseguenze del rimpatrio è tale da essere in conflitto con quanto previsto dalla Costituzione e dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

Non solo. Critiche non vengono risparmiate neanche all’articolo 2 del decreto, riguardante il prolungamento dei tempi di detenzione di richiedente asilo prima negli hotspot e successivamente nel Centri per il rimpatrio, fino all’avvenuta identificazione. Sommando i due periodi si arriva a un tempo massimo di 12 mesi. Troppi, per i consiglieri, che sottolineano come la privazione della libertà personale in questo caso sia imposta non per aver commesso un reato, bensì a causa di una condizione personale come l’essere entrato in maniera irregolare nel territorio italiano. Uno stato di detenzione pari a quella prevista per chi commette reati anche gravi come la corruzione o l’evasione fiscale.

Rilievi infine anche alla decisione di abrogare la protezione umanitaria sostituendola con ipotesi specifiche di tutela: Ipotesi che, sottolinea il Csm, non possono essere esaustive «delle varie situazioni di vulnerabilità, potenzialmente idonee a fondare la richiesta di protezione dello straniero per motivi umanitari» determinando così una situazione di «incertezza» e «un possibile incremento del contenzioso davanti ai giudici.

Intanto alla Camera slittano i tempi per l’approvazione del decreto, ancora all’esame della commissione Affari costituzionali. La riunione dei capigruppo che si è tenuta ieri ha infatti deciso di posticipare da venerdì a lunedì prossimo l’arrivo in aula del provvedimento.