Per quanto da molti mesi l’intelligence cubana in Venezuela avesse avvertito l’Avana che il presidente Maduro rischiava nelle elezioni parlamentari, l’ampiezza della sconfitta subita domenica dal leader bolivariano ha rappresentato un duro colpo per il vertice politico cubano. Tanto che lunedì i due giornali nazionali del Pc cubano, Granma e Juventud rebelde, sono usciti con grande ritardo per permettere alla dirigenza del partito comunista e dello Stato di decidere come presentare ai propri concittadini una sconfitta che contraddiceva le informazioni anteriori. Le quali assicuravano che il chavismo aveva il vento in poppa, seppur minacciato dalla politica interventista degli Usa.

In realtà ben prima di queste elezioni, almeno da un anno, Raùl Castro e il suo governo sapevano che dovevano diversificare l’economia di Cuba, svincolandola quanto possibile dal Venezuela. Un compito non certo facile, visto che, secondo fonti ufficiose, lo scambio commerciale con il paese alleato contribuisce a più del 20% del Pil cubano. Infatti l’esportazione di servizi medici (oltre che di maestri e allenatori sportivi) porta alle casse cubane circa 6 miliardi di dollari (il triplo delle entrate assicurate dal turismo). Inoltre il Venezuela fornisce a Cuba a prezzi di svendita 100 mila barili di greggio al giorno, il 20% dei quali viene rivenduto dal governo cubano ricavandone altri 700 milioni di dollari all’anno. La revoca, totale o parziale, di questi accordi del tutto inusuali rientrerà probabilmente nel pacchetto di misure volte a smantellare il «potere chavista» che la vincente opposizione venezuelana potrà portare avanti grazie alla maggioranza ottenuta nell’Assemblea nazionale.

Per far fronte al possibile crollo del reddito proveniente dal venezuela Cuba ha rafforzato i propri vincoli economici con Cina, Vietnam, Brasile e Russia, oltre ad aprire una forte (e costosa) trattativa col Club di Parigi per regolare i propri debiti esteri e stimolare gli investimenti dei paesi europei. Ma è chiaro che, per dimensioni economiche e di vicinanza geografica, le maggiori aspettative per una futura boccata di ossigeno economico sono rivolte agli Stati Uniti. Solo che le ultime vicende politiche latinoamericane, la schiacciante sconfitta del presidente Maduro, la vittoria del candidato della destra Macri in Argentina, l’inizio di un processo di impeachment della presidente Dilma Roussef in Brasile, indeboliscono l’Avana perché possono essere interpretate – e di fatto molta stampa lo fa – come una indiretta sconfitta dei fratelli Castro nello scacchiere latinoamericano. Si tratta insomma di un cambio dei rapporti di forza geopolitici che influisce nelle trattative in corso tra l’Avana e Washington.

Lunedì il presidente Raúl Castro ha dato un’affettuosa pacca sulle spalle del presidente Maduro con un messaggio pubblicato nella prima pagina dei quotidiani del Pc e ripresi in ogni telegiornale nel quale si dice sicuro che «verranno nuove vittorie della rivoluzione bolivariana e chavista sotto la tua direzione. Sempre staremo al tuo fianco». Insomma, la linea ufficiale è che in Venezuela si è persa una battaglia non la guerra. Una tesi questa che sembra non convincere del tutto i cubani, almeno se si tengono in conto i commenti ascoltati nei mercati e nei taxi colletivi, dove nei giorni scorsi il «cubano de a pié», il cittadino comune, esprimeva la sua preoccupazione per le conseguenze, economiche più che politiche , della sconfitta del presidente bolivariano. Preoccupazioni che si aggiungono alla difficile situazione economica che attraversa il paese e a una sorta di nuova crisi emigratoria, con alcune migliaia di cubani bloccati in Costa Rica nel lungo e periglioso viaggio che da Cuba attraverso otto stati latinoamericani dovrebbe condurli negli Stati uniti dove sarebbero premiati –grazie alla legge de Ajuste cubano che fa parte del corpo di leggi dell’embargo- con l’agoniata «carta verde». Anzi questo incremento di cubani, specie giovani, che, non vedendo prospettive nell’isola, escono legalmente da Cuba per consegnarsi alle mafie di contrabbandieri di persone è una conseguenza del timore dell’impatto che il crollo del Venezuela bolivariano potrebbe avere su Cuba.

Timori ripresi da alcuni analisti che, parlando in privato, ritengono errata e pericolosa la reazione del presidente Maduro , ovvero il suo insistere nell’indicare la «guerra economica» condotta dagli Stati Uniti e le mafie capitaliste che «nascondono il cibo» ai venezuelani come fattori determinanti della sconfitta; insomma nel ripetere come un mantra gli argomenti base della campagna elettorale perdente. A loro dire, è necessaria una maggiore autocritica del presidente , tenendo conto che la maggioranza dei venezuelani ha espresso il suo voto non in base a una motivazione ideologica , ma con lo «sguardo al proprio portafoglio» . Preoccupa anche la posizione del vertice militare venezuelano che, dietro le dichiarazioni di voler garantire la Costituzione, sembra voler prendere le distanze dal vertice, meglio da una parte della dirigenza, del chavismo.