Alcuni volontari dell’associazione “Ospiti in arrivo” stavano distribuendo coperte e generi di prima necessità a profughi accampati nelle strade di Udine quando sono arrivate le forze di polizia per identificarli.
Per tre di loro – la presidente e la vice presidente dell’associazione e un interprete – è arrivato successivamente un avviso di garanzia e la loro iscrizione nel registro degli indagati relativamente al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La notizia è di qualche giorno fa ma, a quanto si sa, la Procura di Udine già dal 2013 indagava a proposito dell’aumento del numero dei profughi in città, e della pressione esercitata verso la frontiera di Tarvisio (porta italiana della rotta balcanica dei migranti).

La causa immaginata dalla Procura udinese, a quanto pare, starebbe proprio nell’aiuto, e di conseguenza nell’incentivo, offerto dall’associazione “Ospiti in arrivo” ai richiedenti asilo.
Forte di questa brillante analisi geo-strategica, la Procura rivolge ai volontari l’accusa di aver fornito «indicazioni precise su come muoversi in Italia, in particolare per quanto concerne la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato politico». Accanto a questa, la responsabilità di aver «invaso terreni e edifici privati»: si tratterebbe di strutture e aree abbandonate in cui i profughi si sono sistemati in qualche modo e in cui i volontari si recavano per portare aiuto e mezzi di sussistenza.

Infine, sempre secondo gli atti della Procura, il «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» sarebbe avvenuto «a scopo di lucro». Dove per lucro qui si intende la richiesta di accreditamento nell’elenco delle associazioni destinatarie dei fondi del 5 per mille avanzata dalla stessa associazione “Ospiti in arrivo”. Richiesta che in Italia hanno presentato decine di migliaia di associazioni e, nella sola città di Udine oltre 200.
Per questa finalità, insomma, gli attivisti avrebbero «fornito il proprio numero di cellulare a svariati soggetti al fine di assicurarne la diffusione in capo ai clandestini che arrivavano a Udine o provincia, così venendo da loro contattati al fine di poterne poi organizzare il ricovero presso strutture o altro accogliendo e accompagnando circa trenta clandestini afghani presso la Caritas di via Treppo il 29 dicembre». Per questo reato, i volontari dell’associazione, ora potrebbero rischiare fino a 4 anni di carcere.

Di fronte a quel saggio di letteratura burocratica, così maldestramente assemblata, che vorrebbe motivare un pesante provvedimento giudiziario, qualsiasi persona sennata direbbe, come in una scena di teatro da camera: «trasecolo, signora mia». E, invece, non sono molti a trasecolare davanti a quello che appare come un tentativo di sanzionare penalmente ciò che rappresenta un doveroso obbligo che l’articolo 10 della Costituzione prevede e tutela. Tanto più che la Questura di Udine è tra le più lente d’Italia nell’espletare le procedure per la domanda di protezione umanitaria.

Vedremo quale sarà la decisione del Gip, ma intanto sulla piattaforma Change.org è stato lanciato un appello, a prima firma Loris De Filippo, presidente di Medici senza Frontiere, che in poche ore ha raccolto 5 mila sottoscrizioni.
Ma la domanda che questa vicenda pone è un’altra: cos’è diventato oggi il nostro paese? Come è mai possibile che l’atto antico e semplice del samaritano sia considerato nulla di diverso da un crimine? E che la sacrosanta attività di pronto soccorso e il tendere la mano per prestare aiuto possano essere scambiati per una fattispecie penale?