« L’antropologia del cratere è un sistema di scatole cinesi, una geografia di luoghi liquidi, una periferia liquida, che contiene una casa, che contiene una famiglia, che contiene una ragazzina, che contiene una rivolta, che contiene una soluzione, giusta o sbagliata, una fuga oppure no, che non si sa se contiene il vero o il falso.»

E’ così che Silvia Luzi mi racconta Il Cratere, il film scritto e diretto da lei e Luca Bellino presentato durante la trentaduesima Settimana Internazionale Della Critica.

Sogni che sbranano sogni. La piccola Sharon Caroccia, interpretata dalla vera Sharon Caroccia, giovanissima interprete della scena neomelodica partenopea ha i sogni di tante, vuole fare la cantante e prova le coreografie davanti allo specchio mentre ripete il Verga svogliatamente. Il padre Carmelo (il vero Carmelo Caroccia), ambulante, investirà ogni sua risorsa su questo sogno, sperando di riscattare una vita di mancanze, di continua necessità. Purtroppo però quando i sogni diventano investimenti qualcosa di bello muore.

Eccoci, allora, con registi e attori a parlare di questo piccolo ma sorprendente film.

  • Un padre e una figlia reali che recitano, e dunque “fingono” di essere un padre e una figlia all”interno di un film, una emergente cantante neomelodica realmente esistente, Sharon Caroccia, che interpreta la parte di una anonima ragazzina, Sharon Caroccia, che cantante ci vuole diventare, ma non ci riesce, una confusione tra il piano del reale e quello della finzione che sembra essere un obiettivo cercato, mirato

L: Una non distinguibilità tra i piani, una confusione che volevamo feconda, produttiva, in grado di generare una molteplicità di domande ulteriori a partire da quell’iniziale « E’ falso o è vero?». Se lo spettatore accetta di entrare nel nostro mondo, dentro al cratere, inevitabilmente viene investito da un vortice di quesiti il primo dei quali è sicuramente «E’giusto oppure no?» e poi «La vita in strada ti porta da qualche parte oppure no?» «Devo accettare la mia condizione oppure no?» e alla fine, per conseguenza «Devo ribellarmi oppure no?» che per noi era quella fondamentale. Quindi abbiamo creato un dispositivo abbastanza lineare, che permettesse allo spettatore di seguire un intreccio anche classico sotto certi punti di vista, e di sfruttare elementi immediati, come la musica, una storia semplicissima ma estremamente intima. Inoltre volevamo calare il tutto in un contesto sociale duro, difficile, e utilizzare uno stile piuttosto deciso, anche troppo, direi, visto che forse uno dei rischi maggiori che ci siamo accollati è stato quello di utilizzare una sola ottica per tutto il film, col pericolo di stufare l’occhio. Abbiamo accettato il rischio di non piacere perché abbiamo cercato in tutti i modi di indurre lo spettatore a condividere lo stesso stato di claustrofobia che attanaglia Sharon e Rosario, cercando un modo di comunicare che non fosse solo epidermico, ecco, la profondità volevamo che fosse il grande dubbio.

  • Restituite con esattezza quasi antropologica un contesto sociale disperante che rende sfumati i confini di quelle dicotomie giusto-ingiusto, ribellione-rassegnazione di cui ci credevamo certi.

Assolutamente, ma senza alcun intento di denuncia sociale, di esibizione del degrado ai fini di un qualche giudizio di valore. E’per questo che il mondo dietro di noi è sempre nascosto, tenuto in fuori fuoco, con una focale fissa che punta sempre il volto, le sue rughe, la carne ed esclude il resto. Un modo per dire quanto il mondo circostante sia nemico, o comunque estraneo ai personaggi, che invece cercano di affermare la propria identità, di dire «sono io», « e sono io che decido se rivoltarmi a questo mondo-destino o subirlo supinamente, sono io l’attore della mia vita».

«Sono io e faccio quello che posso, come posso»: le scelte di questi personaggi non sono quelle più giuste, ma non sono nemmeno quelle più sbagliate, sono quelle che riescono a fare con le loro forze e nel loro contesto. Abbiamo cercato di evitare quello sguardo didascalico, afflitto da troppi stereotipi con cui spesso lo si è voluto rappresentare e, implicitamente, giudicare.

L’antropologia del cratere è un sistema di scatole cinesi, una geografia di luoghi liquidi, una periferia liquida, che contiene una casa, che contiene una famiglia, che contiene una ragazzina, che contiene una rivolta, che contiene una soluzione, giusta o sbagliata, una fuga oppure no, che non si sa se contiene il vero o il falso.

  • Di questa liquidità fa parte anche il mondo della musica neomelodica, con le sue ascese al successo repentine e le sue cadute fulminnee…

L: Cercavamo una qualsiasi situazione che ci permettesse di mettere in scena il tema della rivalsa attraverso il figlio, che poi è un po’ l’essenza di tutte le relazioni genitore figlio e volevamo che fosse situato nell’adolescenza. Il contesto della musica neomelodica offre risposte immediate, aspettative e sogni di genitori e figli qui si giocano in tempi brevissimi rispetto a un qualsiasi ambiente borghese. Il fatto poi di lavorare con un rapporto padre-figlia reale e ben funzionante ci ha facilitato molto, lavorando per differenza, nel costruirne uno immaginario del tutto disfunzionale.

  • questa ricerca di verità investe anche le modalità di messinscena. Distanza ottica fisiologica, stacchi invisbili ecc

L : Mantenere una modalità di visione naturale è stata forse una delle sfide più interessanti, in particolare con Rosario, che per indole si muove moltissimo quando ero in macchina dovevo trovare la sincronia perfetta con i suoi movimenti

  • E parlando di verità non posso non chiederlo a Sharon: «quanto c’è di recitato e quanto di vero in quella che visto sullo schermo?»

SH: Di vero? Di vero c’è tutto, la vivacità, la voglia di giocare con le mie amiche, e tutta quella passione per la musica che vedi, è esattamente la mia. Poi ci stanno pure cose che ho dovuto imparare, perché il personaggio è triste assai, è allora ho dovuto imparare a starmi più zitta, in silenzio, e a piangere, che è una cosa che non faccio mai. Ho dovuto imparare la tristezza, che non la conoscevo così bene prima. E ho dovuto imparare tutta la tesina su Verga che stà all’inizio del film.

S: Abbiamo dovuto usare strategie di lavorazione addirittura opposte: lei è talmente solare e vivace che per trovare gli umori bui del personaggio abbiamo dovuto lavorare di sottrazione, contenerla, mentre con Rosario, che è la nostra più grande scoperta, perchè ha un’incredibile talento naturale, abbiamo lavorato cercando di estrarre, di far emergere quello che è già presente in lui e che si tiene dentro. Quella rabbia che vedi, quella sofferenza, sono il risultato vero, non recitato, di una vita vera che non è stata mai semplice, si trattava solo di trovare un modo per farglielo tirare fuori.

  • Is a dream a lie if it don’t come true Or is it something worse? Cantava Springsteen in The River. E cosa diventa, allora, il sogno di Sharon, una volta che mani adulte lo trasformano in “investimento”, obbligo, unica prospettiva di riscatto economico: l’ennesima gabbia da cui Sharon deve scappare.


S: é l’antropologia del cratere che ritorna, il sistema di scatole cinesi da cui non si può scappare.
Ma è anche una sorta di r
ondò delle emozioni, perché Sharon cerca il riavvicinamento al padre in un percorso emozionale estremamente tortuoso, fatto di slanci e delusioni reciproche, che si innesta in una rappresentazione delle dinamiche familiari deteriori, tra cui quel senso di colpa che il padre utilizza a scopo punitivo, vendicativo, come spesso capita, senza comprendere l’entità delle ferite che provoca.

L.: Volevamo evitare certe simbolizzazioni un po’ ingombranti tipo i profughi, gli oppressi del mondo, le classi subalterne, gli operai ecc. che per l’abuso che ne è stato fatto dal cinema finiscono col produrre un effetto banalizzante. abbiamo cercato di fare l’esatto contrario del documentario, cioè non abbiamo voluto sfruttare simbolicamente qualcosa di esterno, che avviene nella realtà ma adattare la realtà a questa nostra idea, che è quella di una rivoluzione al grado zero.

  • non vi spaventa la specificità culturale? Un napoletano capirà di questo film certe cose, certi valori, un milanese ne capirà molti di meno, e un inglese ancora meno.…


-L: per paradosso, e parlo da salernitano che in quel contesto culturale ci vive abitualmente, ti dico che forse è più facile comprenderlo dall’esterno, perché hai meno sovrastrutture. Certi codici comportamentali da noi possono sembrare normali, è normale comprare una canzone, è normale pagare un’emittente per poterla trasmettere in televisione, o far intraprendere una carriera da adulta a una ragazzina sin dalla più tenera età. Visto dall’esterno tutto ciò conserva, invece, quella eccezionalità che ti permette di far emergere con ancora più chiarezza la disperata volontà di riscatto, di emersione, che ci sta dietro, quella di Rosario dapprima, e anche quella di Sharon, da un certo momento in poi. Ovviamente alcune specificità linguistiche saranno comprese solo da chi conosce bene il dialetto napoletano, ma nonostante ciò registriamo che anche in contesti culturali molto lontani, a cui sono completamente sconosciuti tanto la musica neo melodica quanto il dialetto napoletano, quelli che vengono colti maggiormente sono proprio gli aspetti che noi volevamo mettere rappresentazione.


S: comprendi l’ambiente e dunque collochi tutta la vicenda in un certo contesto culturale e sociale, solamente se sei italiano. Per un Francese o un Americano quello che resta è solo la struttura, il mondo dentro un mondo dentro un altro mondo e l’essenza delle relazioni umane, ben al di fuori della caratterizzazione di napoletanità, che, d’altro canto, abbiamo cercato di ridurre all’osso dell’osso, non mostrando l’ambiente, mettendolo fuori fuoco, evitando i soliti luoghi comuni con cui la si mette in scena normalmente. La frase sintomatica pronunciata dalla madre «se cadi non ti rialza nessuno» è un archetipo, un precetto di vita che accomuna le culture povere di tutto il mondo, è il Verga degli inizi.

  • La musica neo melodica ha funzioni narrative di tipo primario, fornisce il contesto e il pretesto di tutta la vicenda…


Q
uella neo melodica è una scena musicale indipendente, autonoma, talmente indipendente da non riuscire a scavallare, alle volte, la dimensione di quartiere, per cui magari non arriva neanche a Napoli centro. è una dimensione totalmente auto alimentante, dotata di codici comunicativi, di codifica e decodifica dell’informazione, totalmente autonomi, e che il più delle volte viene trattata con uno sguardo banalizzante, quasi con senso di pena, come una malattia che però non è pericolosa, ignorando, colpevolmente, il vasto portato culturale, di cultura veramente popolare, che ci sta dietro. È musica pop nel senso più pregnante del termine.

  • il tema musicale portante è un brano neomelodico, ma nella scena della giostra, in cui Sharon prende coscienza di sé e sceglie il proprio destino, esplode letteralmente in chitarrismi distorti di grande potenza…


C: come padre quella lì a S.Benedetto Del Tronto è la scena più forte di tutto il film, è troppo crudele un padre che alla figlia gli dice: «non canterai mai più perché siamo di nuovo in miezz’ a via pe’ colpa tua» è crudele, signò, ma crudele veramente!

E quando l’ho vista montata con quelle chitarre spettacolari che pare che urlino insieme a mia figlia mi sono messo a chiagner’ perché il risultato è davvero potente, il più drammatico di tutto il film.
Io mi commuovo perchè al di là di quello che abbiamo recitato c’è sempre la nostra realtà dietro. Che si riduce all’auto banco, il furgone con cui giriamo le fiere, e a Sharon che canta, sin dall’età di quattro anni. I filmati che vedi di lei da piccolina sono quelli veri che gli facevo io quando si esibiva. Poi la nostra fortuna, quella che ci ha portato fino a Venezia, e stata che un una festa di piazza a Pompei Luca e Silvia, mentre Sharon cantava davanti al banco ci hanno visto quello che cercavano.

  • Questo passaggio alla sonorità robusta delle chitarre segna anche lo spartiacque nel trattamento del suono.

    L: abbiamo cercato di riprodurre anche col suono la struttura emotiva del film. Inizialmente è montato come in un documentario: stacchi continui, ambienti sporchi, battute non pulitissime, ha un’evoluzione a crescere che trova il suo culmine nella scena con le chitarre e da lì in poi l’audio prende proprio un’altra direzione. Innanzitutto perché è montato come in un film di finzione, ma soprattutto, perché cambia radicalmente il rapporto con l’ambiente sonoro, con i rumori del traffico, della folla, dei fuochi d’artificio, che si fanno più presenti, invadenti. E questo aumento del rumore, della confusione, accompagna la crescita, anzi l’esplosione, della rabbia di Sharon. Stefano Grosso sul suono ha fatto una vera e propria regia. Questa idea dell’esplosione di chitarre è una delle sue geniali trovate. Per noi era sufficiente l’evoluzione che già c’era nella parte neo melodica del brano. Stefano infatti ha voluto far cantare a Sharon una seconda versione caratterizzata da un atteggiamento espressivo diverso da quello suo naturale, più drammatico, più sofferto, una voce che reca i segni e le tristezze del vivere, che usiamo nella seconda parte del film, e che per noi era sufficiente.

Stefano invece ha intuito che era necessario andare oltre, creare un ulteriore fase drammatica che corrispondesse al momento decisivo in cui Sharon decide che deve prendere in mano la propria vita, scegliere una direzione o un’altra senza possibilità di ritorno. Decidere se ribellarsi o cedere a un destino che sembra scritto. Da lì in poi ne la vita di Sharon ne il suono che la accompagna potranno essere più quelli di prima, e l’interpretazione più drammatica del pezzo iniziale che utilizziamo da lì in poi ci dice che ormai il cambiamento è avvenuto internamente a Sharon, e indietro non si torna.

La struttura è disposta in crescendo, Sharon inizia a girare sulla giostra, in questo movimento che la riporta sempre circolarmente al punto di partenza, esattamente come la sua vita, ripercorre tutte e 20 le scene precedenti Che la hanno portata a questo punto di rottura sono a quando Si ferma ed esplode nel suo devastante urlo di rabbia, che coincide con l’esplosione delle chitarre. Le abbiamo dunque chiesto di ripetere con esattezza tutte le 20 espressioni facciali caratteristiche delle scene precedenti nel tempo ridottissimo di questa scena è Sharon è stata incredibile, le ha sapute rifare tutte mutando da una all’altra alla velocità di un giro di giostra.