“Nessuno più di me, signori, è pervaso dalla necessità, dall’urgenza, di ridurre il bilancio. Ho già votato e continuerò a votare la maggior parte delle riduzioni proposte, a eccezione di alcune”.

A eccezione di quelle che mi sembrerebbero prosciugare le fonti stesse della vita pubblica e quelle che, accanto a un dubbio miglioramento finanziario, rappresenterebbero un qualche difetto politico. È in quest’ultima categoria che colloco le riduzioni proposte dalla commissione per le finanze su quello che chiamerò il bilancio speciale per le lettere, le scienze e le arti”.

Era il 1848 quando Victor Hugo pronunciava questo discorso durante l’Assemblea Nazionale francese: mi è tornato alla mente in questi giorni dopo gli interventi ascoltati da più parti e relativi al nuovo rapporto Svimez presentato il 24 novembre, i cui risultati sembrano implacabili e denotano l’approfondirsi di quelle differenze sociali ed economiche che l’Italia ben conosce da molti decenni.

Di fronte alla crisi provocata dal Covid-19, molti giornali hanno riempito le loro colonne somministrando l’idea che il contagio riguardava tutti: nessuno era escluso dalla possibilità di infettarsi, ricco o povero, che fosse. Certamente. Ma gli effetti di questa guerra invisibile hanno provocato da subito una frattura economica stringente nelle società opulente del “primo mondo”, acuendo vertiginosamente divari sociali e sofferenze economiche endemiche.

Ed ecco che ora la Svimez certifica ciò che era già sotto gli occhi di tutti: il Mezzogiorno d’Italia, scontando una situazione di disoccupazione cronica, subisce gli effetti di questa crisi ancora più evidente della devastazione economica del 2008, perdendo più di 280 mila posti di lavoro, in gran parte nelle fasce della popolazione più fragile, donne e giovani.

Ma a rischio non sono soltanto i posti di lavoro o la ripartenza economica, che evidentemente saranno più lenti e meno incisivi di quelli collocati in altre zone più forti della nostra Penisola, ma è soprattutto il tessuto sociale: “La crisi seguita alla pandemia è stata un acceleratore di quei processi di ingiustizia sociale in atto ormai da molti anni che ampliano le distanze tra cittadini e territori”, recita il rapporto.

Ma quali sono questi processi di ingiustizia sociale a cui il rapporto fa riferimento? A quale fenomeno è possibile ascriverli?
In un breve passaggio si dice quanto tutto ciò sia dovuto al forte ritardo nei servizi sociali e culturali, scolastici e sanitari in particolare: un’arretratezza che favorirebbe da una parte il continuo flusso di popolazione verso altre zone del Paese e, dall’altra, la crescita di beneficiari di misure di sostegno al reddito.

Il divario economico, pertanto, dipenderebbe essenzialmente da misure non legate direttamente al tessuto produttivo, ma a differenze di natura sociale: scuola, università, welfare, salute…

E qui ci viene in soccorso il prosieguo del discorso di Hugo che invocava una maggiore attenzione per le risorse destinate alla propria cultura intellettuale, individuando, il più grande pericolo, non nella miseria, bensì nell’ignoranza: “È per ignoranza che certe dottrine fatali passano dalle menti spietate dei teorici, al cervello di molti. Ed è in un momento simile, di fronte a un tale pericolo, che ci piacerebbe attaccare, mutilare, scuotere tutte quelle istituzioni che hanno come compito speciale quello di perseguire, combattere e distruggere l’ignoranza”.

In un periodo di crisi la soluzione non è mai quella di chiudere gli spazi della mente, ma di tenerli aperti, anzi di moltiplicarli: ” Più scuole, biblioteche, musei, teatri, librerie: in breve, si dovrebbe permettere alla luce di penetrare da tutti i lati nelle menti delle persone, perché è attraverso l’oscurità che lo perdiamo”.

Ma per questo non mancano le intelligenze o i talenti che sempre pervadono la società anche nei tempi di crisi: serve “l’impulso simpatico e l’incoraggiamento entusiasta di un grande governo”.
È dunque la Politica la vera grande assente.