Formalmente, la legge elettorale spagnola sarebbe un sistema proporzionale di tipo D’Hondt con barriera al 3%. Ma al contrario di quello che si dice spesso per criticarla, non è il riparto dei seggi il suo principale problema. È vero che questo sistema dà un piccolo vantaggio al partito più grande (in ciascuna circoscrizione) nel conteggio dei resti.

Ma il problema principale è che la costituzione prevede che le circoscrizioni siano provinciali, una divisione amministrativa arbitraria (di epoca franchista). E fra le 52 province ci sono Ceuta e Melilla (che esprimono un solo seggio) o Madrid o Barcellona (che oggi valgono 36 e 31 seggi rispettivamente).

Un terzo dei 350 seggi della Camera proviene da circoscrizioni di meno di 5 seggi, il che implica che lì passano il primo e il secondo partito, raramente il terzo. Gli altri voti sono persi.

Il risultato netto di questo iniquo sistema è che ai grandi partiti un seggio, in media, costa sessantamila voti (59mila al Pp, 61mila al Psoe), mentre a Izquierda Unida (Iu) più di 460mila.

Ma i partiti che ottengono molti voti anche in una sola circoscrizione sono avvantaggiati: il Pnv spende “solo” 50mila voti per ciascuno dei suoi seggi, Esquerra o Democràcia i Lliberat circa 66mila. UpyD non ha ottenuto neppure un seggio con 145mila voti, come neppure gli animalisti di Pacma (220mila voti).

Il loro problema? I loro voti sono “spalmati” a livello nazionale e neppure nelle circoscrizioni più “proporzionali” arrivano al limite del “reparto”.

Secondo calcoli di Iu, se il partito avesse ottenuto solo 40mila voti in più distribuiti in due o tre circoscrizioni chiave, avrebbero avuto 7 deputati invece di due. Se Podemos si fosse unita a Iu in tutte le circoscrizioni, con gli stessi voti ottenuti domenica sarebbe il secondo partito e il Pp, Psoe e Ciutadanos avrebbero ciascuno meno seggi.

Mentre se i seggi si calcolassero in una circoscrizione unica nazionale, Podemos- Psoe- Iu avrebbero 13 seggi in più di Pp-Ciutadanos e sarebbero a un soffio della maggioranza assoluta.