È difficile, per Giusi Marchetta, scrittrice e professoressa di lettere alle scuole medie, trasmettere la passione per i libri e la lettura. Ma lei ci prova. Ostinatamente. Come tanti docenti in Italia. Marchetta lo fa anche con il suo Lettori si cresce (pp. 120, euro 14, Einaudi). Le prime pagine sono interessanti: si propongono di convincere i giovani lettori dell’importanza e della bellezza della lettura rinunciando alle solite messime per cui un ragazzino dovrebbe leggere. Quali? Perché è bello. Perché è interessante. Perché è divertente. Perché è cibo per lo spirito e per la mente. Perché fa crescere e fa pensare. Perché questo libro l’ho letto alla tua età e l’ho trovato bello. Perché  l’ha letto mia nipote e l’ha trovato bello. Ma alla fine, però, anche lei, con questo libro, magari solo variandole un po’, rischia di ripetere proprio le stesse motivazioni. La vera battaglia sulla lettura che Marchetta dichiara a chi non ama la lettura, infatti, è fatta soprattutto dalla raccolta di esperienze personali, di lettrice e di docente, che potrebbero (dovrebbero) suscitare curiosità e passione di fronte al Non Lettore. Sono queste le pagine più belle del libro. Pur intitolando una delle sezioni del volume «Il diritto di non leggere», come ricordava Daniel Pennac nel saggio narrativo Come un romanzo, Marchetta non può fare a meno di dolersene, mettendo in campo appassionatamente tutto l’armamentario didattico e retorico per convincere il giovane Non Lettore a diventare Lettore.

Ma l’operazione non riesce sempre in modo convincente. Perché in Italia i ragazzi leggono così poco rispetto ai giovani di altri Paesi? Intanto bisogna sempre ricordare l’esempio che gli diamo noi adulti: pessimo. E i ragazzi non sono scemi: più che alle parole, guardano ai fatti, agli esempi. Altri motivi? Tanti, soprattutto di carattere culturale. Scuola compresa. «Storia della letteratura e analisi del testo uccidono il piacere della lettura». Sarà così? In parte sì, ma in parte no, sembra dire l’autrice. Per esempio, per Marchetta sarebbe importante anche che i lettori fin da piccoli potessero scegliersi liberamente i libri da leggere. E che le letture che si fanno a scuola non fossero solo «disarmate», e depotenziate: cioè sempre lontane dal sesso e dalla violenza, dal turpiloquio, dai temi considerati scomodi e antieducativi; in sintesi: a scuola ci dovrebbe essere meno censura. Tanto da proporre, fra i banchi, le pagine «più scolasticamente accettabili» di un autore come Bukowski. Ma cosa vorrà dire più scolasticamente accettabili?

Ecco il cortocircuito istituzionale. Ancora: leggere fa pensare, fa ragionare, ci ricorda Marchetta, e una scuola moderna dovrebbe favorire nell’alunno lo sviluppo di uno spirito critico nei confronti di ciò che lo circonda, che certo la lettura favorisce. Obiezione: ma siamo sicuri che la nostra scuola sia così moderna? Perché allora la narrativa di oggi, di fatto, è stata bandita dalla scuola superiore di primo e secondo grado? E perché tra le competenze che l’Europa chiede ai suoi studenti è scomparso proprio quello «spirito critico» che Marchetta, giustamente, auspica? Che fare, allora? Il consiglio dell’autrice: «Contagiare i ragazzi con l’entusiasmo della lettura». La propria. E l’accento è messo più sulla parola entusiasmo che su lettura, come sa ogni docente.

Anche se prima o poi, aggiungo io, occorrerà porsi un ulteriore problema: perché tutto quello che si fa leggere a scuola ai nostri ragazzi è scritto da adulti e niente o quasi niente è scritto da loro o da loro coetanei? Personalmente credo che uno dei nodi decisivi sia questo: l’autrice lo sfiora, ma non lo approfondisce, quando racconta di come, per alcune ore, trasformi la sua classe in un piccolo laboratorio di scrittura creativa e chieda ai suoi alunni di narrare una loro autobiografia minima.