In un celebre romanzo di Isaac Asimov un congegno tecnologico permette di decodificare i discorsi dei politici ricavando quel che hanno davvero detto dietro i giri di parole. Se lo si applicasse all’informativa di Conte ieri in Parlamento ne verrebbe fuori un foglio bianco. Il premier non ha detto niente sul contenzioso con l’Europa, e del resto niente poteva dire. La trattativa di cui si parla da settimane deve ancora iniziare davvero. Partirà oggi a Bruxelles, con meno di una settimana per essere conclusa. Bruxelles ha notificato le sue richieste, irrigidendole giorno dopo giorno sulla base di quel che gli uffici tecnici comunicavano ai commissari. Ma una vera proposta italiana non è mai arrivata.

OGGI CONTE, PREVIO immancabile pranzo al Quirinale, dovrà presentarla a Juncker, a Dombrovskis e a Moscovici ma sarà ancora un colloquio interlocutorio. Il premier dovrà poi tornare a Roma, esporre ai sui capi, sulla carta i vicepremier, l’esito dell’incontro, prendere istruzioni, volare di nuovo a Bruxelles. Se non ci fosse la componente drammatica sarebbe una pochade. Peraltro la commissione Ue ha chiesto di ricevere una bozza della proposta italiana già nella notte, ma ieri sera la faccenda era ancora in alto mare. Tria ha sul tavolo due simulazioni, una con il deficit all’1,8%, come chiede l’Europa ma che Di Maio e Salvini considerano inaccettabile. L’altra con il deficit al 2,2%, che la Ue respingerebbe senza un fiato. Solo nelle prossime ore si capirà se una via di mezzo è praticabile. Ieri sera l’ipotesi più credibile sembrava essere quella di una resistenza sul 2,2%, accompagnata però dalla richiesta di procedere con tempi lunghi, almeno sei mesi, per la procedura.

Sull’eventualità di portare il deficit al 2% i pareri sono discordi e su tutto pesa la svolta francese, la scelta di Macron di sforare ulteriormente il deficit, oltre il 3%.

E’ una novità che rafforza la posizione dell’ala più rigida della squadra di governo, quella che non vorrebbe andare sotto il 2,2%. Chi la compone? Certamente Di Maio. Persino i due miliardi che dovrebbe togliere dal fondo per il reddito di cittadinanza gli pesano moltissimo. Nonostante le chiacchiere sui riconteggi miracolosi, la realtà è che anche solo con due miliardi in meno garantire a una platea di 5 milioni di persone un reddito con tetto massimo di 780 euro sarà un’impresa. Raddoppiare il taglio come vorrebbe la parte più conciliante del governo significherebbe ridurre la strombazzata riforma a una mancetta e non è neppure detto che l’Europa, che insiste per un taglio sui 10 miliardi, si accontenterebbe.

LA LEGA È MENO RIGIDA, soprattutto perché quota 100 si presta maggiormente a essere modulata elasticamente. Ma in area Carroccio gli umori sono diversi. Borghi, presidente della commissione Finanze della Camera non vorrebbe scendere sotto il 2,2%. Giorgetti, diplomatico e pragmatico per eccellenza, sarebbe di parere opposto. Salvini è una sfinge, in parte perché sa che l’obiettivo di Bruxelles non è solo ridimensionare il deficit ma trasformare quota 100 in una finestra per sanare il dramma degli ultimi esodati. Ieri è stato il più solerte nell’impugnare il caso francese non per ammonire l’Europa, come aveva fatto Conte, su quel che potrebbe succedere anche nelle piazze italiane, ma per far pesare in anticipo un eventuale trattamento diverso per la Francia e l’Italia: «Sarebbe inaccettabile avere tutti e due gli occhi chiusi per Macron e sanzioni incredibili per noi».

Invece è proprio quel che succederà se non si troverà un accordo per l’Italia. Sanzioni alla Francia sono infatti fuori discussione. La commissione impugnerà il debito francese, inferiore a quello italiano ma non di moltissimo, e lo spread, tanto basso quanto alto è quello italiano, per chiudere appunto entrambi gli occhi. Per l’Italia, invece, la procedura è più che mai vicina, anche perché far ingoiare ai Paesi nordici due trasgressioni sarebbe per la commissione molto più difficile che non glissare su Macron bastonando però i «populisti» italiani.

POI CI SONO I DUE TITOLARI, per modo di dire, della trattativa. Conte sarebbe favorevole ad accettare la sforbiciata sino a raggiungere il 2% ma è un premier a sovranità molto limitata. Il caso di Tria è diverso. Il ministro continua a ripetere che la manovra da sottoporre al vaglio di Bruxelles è pronta, in attesa però di un via libera politico. Ma Giovanni Tria sembra ogni giorno di più un ministro che aspetta solo il varo della legge di bilancio per fare le valigie.