Il titolo e il sottotitolo dell’ultimo saggio di Andrea Tagliapietra, I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza (Donzelli Editore, pp. 191, euro 34), non lasciano dubbi su chi siano i personaggi concettuali del libro (cani, tempo e pazienza) e sull’ambiente (filosofia e icone) in cui tali personaggi si muovono, formandolo e formandosi.
Questo già dice molto della difficoltà di dipanare la ricca tela intessuta dal filosofo veneziano che, con la sua prosa colta e avvolgente e con le sue scelte iconografiche vaste e puntuali, ci trascina in un viaggio in cui le parole e le immagini sono in costante interazione bidirezionale, andando a delineare un ulteriore importante tassello di quella storia dei sistemi di pensiero, e della storia delle idee, a cui Tagliapietra si dedica da anni.

SE QUESTO, in breve, è l’ambiente del saggio – maestoso, denso e lussureggiante –, i personaggi che lo percorrono sono, per usare una terminologia deleuziana, minori, non nel senso di poco importanti, ma nell’accezione, ben più pregnante, di minoranza al contempo costituente e destabilizzante.
Iniziamo dalla pazienza. «La pazienza nella tradizione culturale europea è una virtù», ma una «virtù minore» (appunto!), che «ci allontana dalla presunzione nominativa del soggetto pensante e liberovolente», da quell’Io intrinsecamente violento che innerva sia «l’avventura della soggettività filosofica» a partire (almeno) da Cartesio sia «l’individuo autonomo moderno», eroe totipotente del Capitale, «la cui realizzazione pratica sta generando un tremendo conflitto globale, dagli esiti catastrofici».

Già da questi pochi cenni si può intuire l’impianto generale del lavoro di Andrea Tagliapietra e l’entità della retroazione positiva tra ambiente e personaggi di cui si è detto: I cani del tempo mette in campo una critica radicale della «società capitalistica dei consumi e dello spettacolo» senza ricorrere, come troppo spesso fanno pensatori e militanti meno accorti, agli strumenti del padrone, ossia a un’agency muscolare e machista, per affidarsi invece a una pazienza che, con pazienza (appunto!), assume, pagina dopo pagina, le fattezze di una materialità corporea in inquieta attesa: «pazienza», quindi, «come stato di attenzione», «disposizione di chi si abbandona all’immanenza», «virtù del tutto inattuale» e indice di una «resistenza» che consente di prendere congedo da quell’impazienza che rappresenta il tratto specifico del «prestissimo della produzione» e della «frenesia compulsiva del consumo».
Ecco, allora, farsi avanti gli altri due personaggi di questa storia intensiva. Innanzitutto il tempo. Un tempo che non è istante «scandito pubblicamente dagli orologi, dai calendari e dalle cronache», il «tempo spazializzato del fuori», ma durata, «tempo che non passa», «vissuto nell’interiorità della coscienza». «Il tempo silenzioso del corpo», insomma, il tempo dell’esistenza creaturale che ci rimette in contatto con la «calda prossimità della vita animale, dell’animale che dunque siamo».

È QUESTO TEMPO DENTRO, questa «intratemporalità del corpo, esposto e vulnerabile», ad aprire infine la scena sui cani che, grazie da un lato all’iconologia di Tagliapietra e dall’altro alle loro movenze, posture, sguardi e sfioramenti, fuoriescono, come singolarità insostituibili, dalle cornici delle opere in cui sono rappresentati e dalle pagine del libro che percorrono dall’inizio alla fine. Cani dalle differenti taglie, forme, colori e temperamento, ma che, all’unisono, esprimono una denuncia senza appello nei confronti del «risvolto specista e antropocentrico della metafisica», di quell’Umano che è contemporaneamente il prodotto e il carburante del Capitale: «Nella barra metafisica che separa il corpo dall’anima è nascosta la grande barra differenziale della specie», confine che, con lo stesso gesto, costruisce e annienta l’Animale, la «moltitudine di viventi accomunati soltanto dalla contrapposizione semantica rispetto all’essere umano, ossia del loro essere altro dall’uomo e dalla volontà di specie», abisso che costituisce «una riserva ideologica che, anche dopo Darwin, continua ad alimentare l’autocomprensione degli esseri umani e la loro catastrofica presunzione di dominio sugli altri viventi».

E, per finire, seguendo fino in fondo il movimento del saggio, non possiamo che tornare ancora una volta alla pazienza, il luogo dove con/fluiscono tutte le trame tracciate da Tagliapietra: «La pazienza si rivela virtù della cura degli altri, del saperli attendere, di prestare loro attenzione, anche e soprattutto quando sa contrastare l’indifferenza frenetica con cui si lasciano indietro i deboli, chi non ce la fa, i disoccupati, i malati, i disabili, i folli, i vecchi, i bambini e, perché no, gli altri viventi non umani del pianeta, gli autentici ultimi su cui si concentra l’immane violenza che caratterizza il volto della nostra epoca».