Annamaria Ajmone è un nome da tener caro nelle ultime generazioni della danza italiana contemporanea. Danzatrice, interprete, autrice, coreografa, artista mai banale, una qualità di movimento che abita lo spazio con calore e sottigliezza.
È nata a Lodi, nel 1981, esce dalla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ha studiato con coreografi che lasciano un segno come Erna Omarsdottir e Emio Greco, ha danzato in tanti titoli di Ariella Vidach, ha lavorato di recente con Virgilio Sieni. Come interprete non si può non notarla: è una di quelle danzatrici che entra nei linguaggi coreografici altrui con una mistura speciale di aderenza al soggetto e lettura personale.

Al teatro Out-Off di Milano per la diciassettesima edizione del Festival Danae, diretto con consueta brillantezza e curiosità da Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani, Ajmone ha presentato il suo nuovo assolo proposto anche a RomaEuropa: Tiny, musiche di Marcello Gori, consulenza artistica della filmmaker Giovanna Cicciari con cui Ajmone lavora da qualche tempo su un progetto di ricerca tra l’immagine in movimento e la danza.

Ajmone: «In Tiny esploro il mio corpo come un archivio popolato da memorie personali e culturali, fantasie, forze invisibili, echi lontani, suoni, odori, immagini. Individuo e seleziono tracce di me, attraverso le quali viene vissuto e costruito lo spazio da abitare». In scena, sulla sinistra, una sorta di stilizzato giardino fatto di bastoni sottili e fiori secchi, un luogo intimo da cui partire per avventurarsi nella scena vuota. Ajmone non ha fretta. E già in questo ci piace. Inizia con calma. Passi lenti, mani sul volto, sguardo e corpo che esplorano lo spazio. La musica di Gori è fatta di sonorità evocative della natura, che si sposano ipnoticamente con l’essenziale scenografia. Non è un assolo autobiografico in senso narrativo, è un assolo in cui una figura femminile condivide con noi, il pubblico, attraverso il movimento e la danza, la scoperta dell’incontro tra lo spazio esterno al movimento e l’interno del corpo. Un viaggio in cui l’io della danzatrice diventa io collettivo nel rapporto esplorato tra fisico, mente e spazio. Una danza che via via si amplia, un flusso dinamico in cui il corpo si lascia andare con sensibilità a disequilibri e ritorni in asse, un’onda emozionante, mai fine a se stessa.

A Milano, nel rinnovato spazio teatrale della stessa Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, è stata presentata nelle settimane scorse con successo anche la rassegna MORSI, in cui allievi e danzatori professionisti legati al corso di Teatrodanza della Scuola hanno interpretato alcune creazioni nate su di loro. Tra i titoli, due segnalazioni speciali. La prima va a Zoo – A Struggle for Life and Death, coreografia di Paola Lattanzi per gli allievi del terzo corso, un lavoro in cui pulsa tutto il rigore e la potenza espressiva del gesto tipica della danzatrice storica di Enzo Cosimi. La seconda è per Combustioni, creazione coreografica di Emanuela Tagliavia firmata in tandem con il compositore Giampaolo Testoni per gli allievi del primo anno e per alcuni professionisti, sulla figura di Alberto Burri. Uno spettacolo nato in estate per la riapertura del Teatro Continuo di Burri a Parco Sempione e ripreso ora al chiuso, nel quale una coreografia dai complessi piani multipli ridà luce e attualità al lavoro di Burri tra tavole di legno, teli di plastica, memorie del cretto e una avvolgente partitura originale dal respiro epico.