Tra contare e cantare c’è una strana vicinanza, solo una sillaba, un piccolo salto, il cambio improvviso del punto di vista; qualcosa di inatteso capace di dare l’intonazione giusta a un’intera opera. L’amore si fa contando (La Vita Felice, pp. 60, euro 10), raccolta poetica di Oriel Pozzoli, si radica nella relazione tra musica e linguaggio di parola nel segno dell’amore: sì, come una partitura l’amore è una scrittura con lettere nere. Traduttrice dei drammi satireschi dei grandi tragici greci, Oriel Pozzoli ha imparato il controllo di ritmo e di misura e la capacità di mantenere un tono alto pur nell’ amoroso attraversamento del quotidiano.

La conoscenza classica dell’autrice entra per senso e forma in questa silloge e il tono poematico sostiene questa conta. Cosa si conta? Si contano i passi al centro della stanza. Come un’eroina tragica di fronte al destino. Avete presente quell’andare avanti e indietro nella stanza in attesa di qualcosa, di qualcuno? Si contano le notti. Si contano i giorni che mancano al plenilunio. Si contano i segni. Si contano le colpe, la punizione, l’essere in due. Quante volte? I numeri sono tutto, è una storia di cifre. Come alla luce d’un millenario gineceo in una moltiplicazione di senso, Oriel Pozzoli mette in versi grandiose figure antiche: Euridice, Aretusa, Psiche, Calipso, Ifigenia, Circe, Penelope, Ippodamia, Cassandra, Scilla, Arianna. E un’ unica coppia emblematica: Elena e Achille, qui visti alla luce d’una tradizione mitica «secondo la quale alla fine della sua avventurosa esistenza Elena fu trasportata sul Mar Nero, all’Isola Bianca, che era sacra ad Achille, e lì divenne sposa dell’eroe». È un rito eterno. «Così dall’acqua si forma una grotta / e un dio li accoglie nel suo recinto».

Nelle dodici sezioni che compongono la silloge queste figure grandiose entrano con la loro classicità ma umanizzate dal presente nel loro muoversi in uno spazio in fondo raggiungibile, vicino: un giardino, una città, una casa. Sì, il tempo è millenario e disperde le tracce ma non cancella lo zoccolo d’amore che quelle tracce imprimono negli animi. Così per amore Euridice, oggi come allora, «si lascia guidare nell’ombra e accoglie/ l’incauto scivolare della mano / sulla curva del fianco». Illanguidiscono nei versi città millenarie: «Venditori di tè attraversano il ponte /vanno e vengono le navi sul Bosforo». Poesia: azione – operazione – tra le tante la più umana. Qual è l’unità di misura del nostro essere vivi? E del nostro essere corpi? I versi lo dicono chiaramente: «È fatto di numeri il corpo / sangue, seme, anche l’umidità». I gesti d’amore ripetuti. Ancora, quante volte?

Le guerre, le ferite. Finché sapremo contarle. In prefazione Maurizio Cucchi rintraccia il senso di questi versi nel nostro esserci e nel tempo che lo contiene, «un tempo, comunque, che sempre incombe, in quanto è sempre lì, che sta per scadere» Sì, è il tempo. Che tutto lega e tutto scioglie. La musica, l’amore, il dolore, la parola, il canto. E dal tempo, la misura. E l’umana paura che oltre il dolore, chiuso il conto o il canto, nulla rimarrà, se non quelle tracce d’amore vibranti, sottomesse al tempo, pallide come davanti a un mistero.