Il particolato può favorire la diffusione dei virus, tra cui anche il Covid? Ne parliamo con Leonardo Setti, professore all’Università di Bologna che ha condotto una ricerca in merito.

Ci può ricapitolare i vari passaggi della vostra ricerca?

Verso la fine di febbraio si cominciavano ad osservare le prime evidenze di una possibile correlazione tra la diffusione del virus collegata alle aree di maggiore inquinamento in Cina. Per questo motivo abbiamo riunito 9 ricercatori esperti in chimica dell’atmosfera, in biochimica e in medicina ambientale delle Università di Bologna, Bari, Trieste e Milano e abbiamo cominciato a raccogliere le misure di tutti i dati di PM10 e PM2,5 oltre che quelle di altri inquinanti, fornite dalle centraline italiane ARPAE per ogni provincia per tutto il mese di febbraio in cui abbiamo avuto la massima espansione dell’epidemia: parliamo di oltre 400 dati giornalieri. Abbiamo osservato che dove vi erano stati i maggiori tassi di inquinamento vi era stata anche la maggior virulenza del Covid-19. Sono state analizzate diverse possibili correlazioni tra diverse variabili come la densità di popolazione piuttosto che la mobilità delle persone ma l’unica correlazione positiva ritrovata e ancora oggi predittiva è quella legata all’inquinamento ed in particolare ai giorni di sforamento delle PM10. Questo risultato suggeriva che le microgocce virali possano aggregarsi al particolato atmosferico formando degli aggregati stabili in grado di raggiungere le persone a distanze superiori a 7 metri e questo poteva moltiplicare la capacità di infettare le persone. Un’ipotesi già ampiamente supportata dalla letteratura scientifica per altri virus come morbillo, aviaria, febbre suina, Kawasaki, e diverse Sars. Abbiamo redatto quindi un position paper e il 13 marzo abbiamo inviato il nostro documento in forma riservata alla regione Emilia Romagna e al Governo.

Che tipo di accoglienza avete avuto dalla comunità scientifica internazionale e dalle istituzioni italiane?

Il 17 marzo, non avendo ricevuto nessuna risposta al nostro documento, lo abbiamo reso pubblico. Il mondo scientifico internazionale ha avuto una positiva reazione, giudicando l’ipotesi plausibile e ritenendo importante approfondirla: hanno ovviamente compreso che il documento non era rivolto alla comunità scientifica ma realizzato per i decisori. Dall’altra a livello italiano alcuni scienziati così come diversi enti governativi non hanno apprezzato. Le istituzioni sono state refrattarie specialmente quando abbiamo chiesto la possibilità di esaminare le polveri campionate per cercare il virus sul particolato in grado di aggiungere un fondamentale tassello conoscitivo per il nostro modello. Per questo motivo abbiamo dovuto ricorrere a campionatori privati che ci hanno fornito delle polveri campionate tra il 21 febbraio e il 13 marzo in cui siamo riusciti a verificare la presenza di RNA virale in almeno 12 campioni, dimostrando che vi è interazione tra Covid e PM10. A quel punto però ci è stato detto che volevamo creare panico, e si è mossa una macchina del fango nei nostri confronti a livello nazionale che ci ha sorpreso. I nostri lavori scientifici sono sottomessi in peer-review come si fa normalmente, seguiranno il normale iter di revisione scientifica e forse saranno accettati nell’arco di qualche mese, un tempo decisamente più lungo rispetto a quello necessario per prendere decisioni di urgenza nella società civile.

La ricerca sull’interrelazione virus-inquinamento continuerà?

Dal 17 marzo molti ricercatori internazionali si sono messi a lavorare intorno a questa ipotesi e molti stanno pian piano confermando questo modello, estendendolo anche all’effetto sulla mortalità. Abbiamo ricevuto molti attestati di stima per averlo proposto. D’altra parte, in Italia, l’ISS, ENEA e ARPAE hanno presentato un progetto congiunto nazionale chiamato Pulvirus per esplorare l’interazione tra virus e inquinamento. Noi continueremo a ricercare, insieme alla Società Italiana di Medicina Ambientale, al fine di approfondire il nostro modello.

Lei è anche fondatore del Centro per le Comunità Solari, Associazione no profit e spin-off dell’Universita di Bologna. Come dovrebbe trasformarsi il nostro sistema energetico e dei trasporti?

Anche prima del Covid, secondo l’Air Quality Report 2019 (EEA), le PM causavano 58600 morti premature, in un anno in Italia, la stima più alta in Europa. Dobbiamo cambiare il sistema energetico verso l’energia rinnovabile e cambiare i nostri stili di vita alimentari e sociali. Dobbiamo favorire le auto elettriche, il fotovoltaico e l’energia rinnovabile. La rigenerazione urbana ci permetterà di ridurre il numero di automobili a favore degli spostamenti a piedi, delle biciclette e dei mezzi pubblici. Durante il lockdown abbiamo ripulito l’aria tanto che la riduzione della foschia tipica dello smog ha permesso una migliore produzione degli impianti fotovoltaici; non possiamo perdere questa occasione, o sarà un fallimento definitivo.