Dopo la festa per l’incoronazione di Mario Draghi da parte degli industriali, smaltita la sbornia tra i leader della maggioranza c’è chi si risveglia un po’ meno allegro. A fare la fila davanti al tavolo che il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha apparecchiato per siglare un Patto insieme ai sindacati, che quel Patto però dovrebbero più che altro subirlo, restano convintamente Fi e i renziani. E se anche i partiti, giovedì schiaffeggiati a più riprese da Bonomi, non sono stati invitati, essendo l’ospite d’onore il premier, persino Salvini, dopo un paio di battibecchi (Bonomi si era scagliato contro Quota 100 e «chi flirta con i No vax»), si accoda: «Noi ci siamo, come Lega vogliamo assolutamente partecipare alla costruzione del Paese e a qualsiasi tavolo».

Il segretario dem Enrico Letta, che giovedì esultava, ospite ieri di Futura, l’evento organizzato dalla Cgil a Bologna, si accorge di essere stato messo alla porta e osserva: «Il tema che abbiamo davanti è quello di rendere tutti protagonisti: le parti sociali, i partiti, il parlamento il governo. Noi faremo la nostra parte, oggi con questo governo, domani cercando di vincere le elezioni». Insomma, un Draghi bis a larghe intese dopo il 2023 – tema delineato dal presidente degli industriali e ormai incombente – non è l’orizzonte auspicato.

Prima di Letta era stato il leader dei 5S Giuseppe Conte a mettere in guardia: «Pensare di tenere fuori i partiti sarebbe un non senso, una follia». Sia Conte che Letta rilanciano su salario minimo e sicurezza sul lavoro. E via twitter il leader di Si Nicola Fratoianni approva: «Le loro parole sono benvenute. Una base comune per costruire un’alternativa alla destra». Mentre Maurizio Landini ribadisce: «Il problema non è il patto, ma i contenuti. Lunedì siamo stati convocati da Draghi su salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma mi auguro che si presenti con un calendario fitto di incontri».