Si è parlato molto del nuovo piano per l’informazione approvato dal Cda Rai su proposta del nuovo ad Salini, che prevede 9 nuovi super-direttori di area, un direttore generale per l’azienda ( come se non bastasse già l’amministratore delegato), una certa quota di italianità nella messa in onda dei prodotti e un nuovo sito digitale che unifica e azzera i preesistenti delle testate dei telegiornali.

Nonostante le buone intenzioni quella di Salini è una iniziativa inutile, com’è inutile anche l’idea bocciata di una unica newsroom per l’informazione. Inutile, ma rebus sic stantibus anche dannosa. Perché questa velleitaria ipotesi di rinnovamento dell’azienda non fa i conti con la realtà della lottizzazione, convitato di pietra di qualsiasi tavolo riformatore aziendale, sempre incombente aldilà delle cromature dei governi che si succedono.

Anzi, rischia di fare ancora più danni. Il motivo è facilmente intuibile a chiunque, meno forse che all’ad, ed è conseguenza diretta della presa dei partiti sulla Rai e della loro volontà di potenza. Detto più semplicemente: alle spartizioni solite se ne aggiungerebbero altre per ricoprire gli spazi aperti dal nuovo piano partorito dal volenteroso amministratore.

Ora delle due l’una: o Salini è un ingenuo e non capisce, anche dopo la umiliante ‘convocazione’ del capo della Lega, che anche per i superdirettori, il direttore generale (è in arrivo Matassino dalla Fandango) e le altre poltrone dovrà fare i conti con il governo, oppure fingere perché la sua smania di rimodellamento non è che un modo per non fare scena muta dopo essere stato chiamato a dirigere l’azienda pubblica grazie anche alla intercessione di Di Maio. Il quale, però, non fa nulla per aiutarlo, nel senso di adoperarsi ( anche questa una promessa mancata) per una riforma vera dell’ente pubblico e del sistema televisivo più in generale, che liberi dai partiti viale Mazzini e allo stesso tempo renda il sistema più pluralista sottraendolo al duopolio RaiSet.

Ancora oggi, a guardare gli ascolti, ci si rende conto come, nonostante il digitale e i suoi presunti miracoli, la Rai e Mediaset, cioè due soli player, con le loro reti generaliste o di nicchia si ritaglino, caso unico nell’ Europa democratica, dal 60 al 70% ed anche oltre dell’audience: i due terzi del sistema.

Che poi questo rimanga il problema vero della nostra televisione ce lo dicono anche le ultime tabelle Agcom del mese di febbraio, balzate, a ragione, agli onori della cronaca per la certificazione della strapotenza mediatica di Salvini.

Ma quelle stesse tabelle ci raccontano anche un’altra storia, quella di un proprietario, Berlusconi, che sulle sue tv spadroneggia da parecchi mesi, secondo una ben collaudata strategia catodica ben assecondata dalle sue reti che solo le fortune oggi avverse non amplificano pericolosamente.

Se Salvini primeggia nei tiggì Rai con oltre il 10% del tempo di parola, che è un’enormità, a Mediaset l’ex Cavaliere va molto oltre con percentuali che gli assicurano una copertura bulgara non solo a Studio aperto, Tg4 o Tgcom 24 (dal 16 al 20%), ma anche al Tg5 dove con 35 minuti parla più dei due pur loquacissimi vicepremier messi insieme.

E il fatto che ciò sia stato fino ad ora ininfluente a risollevarne le sorti, se ci dice che la tv non può tutto, non ci tranquillizza per il domani e future nuove leadership destrorse, né ci esime dal sottolineare come l’anomalia italiana rimanga irrisolta, e drammaticamente sospesa, sulla testa della democrazia del paese.