È stato definito il «regista delle due Germanie» ma non è stato veramente a suo agio né ad est, né ad ovest – e ciò non a caso, visto che entrambe le Repubbliche, l’una contro l’altra armata, lo consideravano persona scomoda e poco malleabile così come è stato scomoda e urticante la parte migliore della sua filmografia. Parliamo di Wolfgang Staudte, uno di quei pochissimi nomi di rilievo artistico che, con Helmut Käutner, ricorre nelle storie del cinema internazionali a proposito dei tristi «anni Cinquanta» tedeschi, uno dei periodi più bui di una gloriosa cinematografia che aveva vissuto momenti straordinari, prima nei rutilanti anni della Repubblica di Weimar con l’espressionismo e le avanguardie e poi li vivrà negli anni Settanta con il «Nuovo Cinema Tedesco» dei vari Fassbinder, Herzog, Wenders, ecc.

Figlio d’arte – i genitori erano attori – nato a Saarbrücken nel 1906, Wolfgang Staudte aveva mosso i primi passi professionali all’avvento del regime nazista (di cui era però un oppositore) con un divertente cortometraggio Ein jeder hat mal Glück (1933).Tuttavia avrebbe dovuto aspettare il 1943 per debuttare nel lungometraggio, dopo un centinaio di spot pubblicitari e alcuni documentazioni, con una simpatica commedia Akrobat schö-ö-ö-n. L’anno dopo un’altra commedia, Der Mann, dem man den Namen stahl, rimane bloccata nelle maglie della censura nazista forse perché troppo urticante per i tempi, e il suo autore rischia di finire soldato al fronte.
Nel 1946 a guerra conclusa gira, invece, il celebre Die Mörder sind unter uns, la prima produzione post-bellica realizzata nella zona d’occupazione sovietica, che, diventata subito il capolavoro del cosiddetto «cinema delle rovine» e talvolta accostata al neorealismo italiano, resterà una delle sue opere migliori in una lunga carriera successiva, segnata da quasi una trentina di film per le sale e tantissimi lavori per la televisione.

Dopo Die Mörder… in cui Staudte fa i primi conti con il recente, devastante passato del nazismo, pur continuando ad abitare a Berlino ovest, proseguirà con ottimi risultati il lavoro alla Defa, la casa di produzione di stato della Rdt, per esempio in Rotation (1948), Der Untertan (1951, film vietato per anni nella Rft, tratto dall’omonimo romanzo di Heinrich Mann, Il suddito); o ancora in Die Geschichte vom kleinen Muck (1953, dalla fiaba del romantico Wilhelm Hauff, La storia del Piccolo Muck, 1826), a colori sgargianti, il maggior successo commerciale di tutta la storia della Defa. Tuttavia, la sua compatibilità con il regime comunista dura sino a quando non entra in rotta di collisione con Bertolt Brecht a proposito di un mega progetto che non vide mai la luce, la trasposizione della pièce brechtiana Mutter Courage und ihre Kinder. E così Staudte passa a lavorare ad ovest dove, definito un criptocomunista, diviene il bersaglio privilegiato della stampa reazionaria a proposito dei suoi film critici sulla realtà contemporanea, sulla viltà e piccineria del piccolo-borghese tedesco, come in Rosen für den Staatsanwalt (1959), Kirmes (1960) o Herrenpartie (1964).
Nel frattempo, però, nella Rft le cose stavano cominciando a cambiare: con il sempre maggiore declino del cinema commerciale tradizionale, a partire dal «Manifesto di Oberhausen» del 1962 nasce una nuova generazione di autori e dei film stilisticamente diversi e più sperimentali di quelli di forti contenuti e/o di marcata impronta letteraria (Gerhard Hauptman, Heinrich Mann, Joseph Roth, Karl Sternheim, ecc.) così come li realizzava Staudte.

Proprio a partire dal 1962, il nostro regista ha proseguito il suo lavoro, salvo rare eccezioni, all’interno della televisione dove, in parte, ha potuto coltivare i suoi interessi politico-polemici, in parte ha diretto, sempre con grande professionalità, dei prodotti di genere, di puro ma non perciò disprezzabile intrattenimento. Insomma, diciamo che l’indubbio talento realista di Staudte sarebbe emerso meglio, se non fosse risultato una personalità sempre controversa e poco disponibile ai compromessi o alle esigenze di mercato.
Non era facile documentare, nell’omaggio di otto film (più il corto di debutto) che gli dedica Cinema Ritrovato una carriera vasta e variegata come la sua, perciò il curatore della rassegna, Olaf Moeller, ha dovute fare delle scelte drastiche, magari anche discutibili, sacrificando delle opere meritevoli del secondo dopoguerra a favore di alcune riscoperte e/o di lavori più tardi e meno noti. Tra di essi, in programma a Bologna, segnaliamo per lo meno il rutilante melò in Agfacolor Rose Bernd (1957) con una magnifica Maria Schell (e un divertente Rossano Brazzi in veste di un prestante operaio tedesco) o Die Rebellion (1962), il primo adattamento dell’omonimo romanzo, La ribellione (1924) di Joseph Roth e primo tv-movie di Staudte, che poi trent’anni dopo anche Michael Haneke avrebbe trasposto per il piccolo schermo.