«Otro mundo es necessario, junt@s es posible». Un altro mondo è necessario, insieme è possibile. Con questo slogan è iniziato a Porto Alegre, in Brasile, il 15° Forum sociale mondiale. Fino a domani, movimenti sociali, ecologisti, sindacati e formazioni politiche di sinistra discutono il tema del Forum: «Pace, democrazia, diritti dei popoli e del pianeta».

Il 19, primo giorno dell’incontro, i movimenti hanno sfilato per le vie della città, mostrando slogan e bandiere di quell’America latina che, da 15 anni, organizza su altri temi il controcanto ai «vertici dei potenti» come quello di Davos, in corso nelle stesse date in Svizzera. La marcia ha reso visibile una delle principali proposte del Forum: il sostegno alla campagna Bds, «Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni» all’occupazione israeliana in Palestina. A sfilare con i movimenti sociali c’era anche il ministro del Lavoro e della previdenza sociale brasiliano, Miguel Rosseto, invitato a partecipare a un dibattito sulla democrazia economica.

Intanto, nella città di San Paolo, governata dalla destra, continuano le manifestazioni contro il caro-trasporto a cui partecipa anche il Movimento senza terra (Mst). Durante la marcia di Porto Alegre, gruppi di studenti hanno chiesto le dimissioni di Eduardo Cunha, il potente e corrotto presidente della Camera, membro del Pmdb, che vorrebbe l’impeachment per Dilma Rousseff.

Nei giorni di apertura, i seminari formativi e i dibattiti hanno messo al centro la situazione politica del Brasile, e in particolar modo le manovre destabilizzanti delle destre contro la presidente. Sullo sfondo e nei temi, il ritorno delle forze conservatrici in America latina e la tenaglia che si stringe sulle esperienze di alternativa. Il Forum è nato a Porto Alegre nel 2001 e da allora ha proiettato le sue tematiche nel resto del Latinoamerica e in altri sud del mondo, dove ha organizzato alcuni dei suoi appuntamenti.

Contenuti come quello del bilancio partecipativo e della «democrazia dal basso» hanno caratterizzato i nuovi governi di sinistra, che hanno cambiato il volto dell’America latina a partire dall’elezione di Hugo Chávez, in Venezuela. Un percorso che ha attraversato e influenzato il dibattito dell’Fsm, mettendo le istanze di movimento – cresciute nella lotta al ciclo neoliberista degli anni ’90 – alla prova delle nuove realtà di governo ispirate dal «socialismo del XXI secolo».

E molte furono le polemiche quando Chávez intervenne al Fsm con i suoi discorsi infuocati sulla necessità di guardare in faccia i rapporti di proprietà e la violenza del capitalismo. Ma poi le cose sono andate diversamente. La partecipazione e le proposte dei movimenti hanno sempre più caratterizzato i discorsi tenuti ai vertici dai presidenti di sinistra dell’America latina. Sono sorte altre istanze di confronto internazionale che hanno ridimensionato in parte il ruolo del Fsm. E così, dopo la morte di Chavez, il 5 marzo del 2013, il Forum sociale mondiale di Tunisi gli ha reso omaggio con bandiere e dibattiti. E quest’anno, a fronte della difficile situazione che vive il Venezuela dopo la vittoria della destra in Parlamento, gli attacchi all’economia e la drastica caduta del prezzo del petrolio, le organizzazioni venezuelane presenti, hanno portato le proposte per una nuova economia produttiva: all’insegna delle comuni e dell’eco-socialismo.

A Porto Alegre sono andati i rappresentanti dei governi dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America guidata da Cuba e Venezuela. Ieri, il vicepresidente della Bolivia, Alvaro Garcia Linera ha animato il panel «America latina: resistenze e alternative», e oggi terrà una conferenza sul tema «L’imperialismo in crisi minaccia i popoli con guerre e aggressioni». Cuba ha inviato Alfredo Pérez Alemany, segretario di Economia e servizi dei Comitati di difesa della rivoluzione. Si è recata a Porto Alegre anche la ex senatrice e attivista colombiana Piedad Cordoba, esponente del Partido Liberal e sostenitrice del processo di pace in corso all’Avana.
Il presidente colombiano, il neoliberista Manuel Santos, si è invece recato a Davos, al Forum economico mondiale (Fem), dove si discute del «Dominio della quarta rivoluzione industriale».

Una «rivoluzione» a vantaggio di quella ristrettissima cerchia che governa il mondo all’insegna delle ricette del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Le oltre 1.000 imprese presenti a Davos hanno in media un volume d’affari di più di 5.000 milioni di dollari. Tra il 2002 e il 2015, le fortune dei multimilionari in America latina sono aumentate in media del 21% ogni anno: una crescita di sei volte superiore al Pil della regione. Gran parte di questa ricchezza finisce nei conti all’estero e nei paradisi fiscali, contribuendo ad accrescere le disuguaglianze che, per quanto ridotte in quella parte del continente guidata da governi di sinistra, è ancora allarmante. L’America latina è ancora la regione più diseguale al mondo. Nel 2014, il 10% più ricco della popolazione ha accumulato il 71% della ricchezza.

Una situazione favorita dal sistema tributario che, in molti paesi latinoamericani pesa sui lavoratori e non sulla rendita e sul capitale. La Cepal calcola che la tassa media imposta al 10% dei più ricchi è pari solo al 5% delle loro entrate dichiarate. Un sistema tributario sei volte meno efficace di quelli, già ben claudicanti, che esistono nei paesi europei. Inoltre, per quanto riguarda le imposte, i governi neoliberisti dell’America latina riservano un trattamento di favore alle compagnie multinazionali: che pagano praticamente la metà rispetto alle imprese locali. A questo va aggiunta l’evasione che, per quanto riguarda i profitti delle imprese va dal 27% dell’entrata tributaria potenziale in Brasile, al 65% in Costa Rica e nel progressista Ecuador, un paese comunque dollarizzato.

I dati della Cepal stimano che, nel 2014, l’evasione fiscale delle imprese e delle grandi fortune è costata all’America latina oltre 190.000 milioni di dollari, ovvero 4% del Pil regionale. Secondo il rapporto congiunto della ong Oxfam e della Cepal, se la tendenza evidenziata da questi dati si accentua, in soli sei anni, l’1% più ricco della regione possiederà più ricchezza del restante 99%.
E non saranno certo le misure prone al «consenso di Washington» e all’Alleanza del Pacifico di cui fanno parte i governi del Messico, della Colombia, del Perù e del Cile, presenti a Davos, a invertire la tendenza.

A dar loro manforte, è arrivato quest’anno anche il presidente argentino, l’imprenditore Mauricio Macri, che ha riportato il paese a Davos dopo 12 anni: i precedenti governi Kirchner avevano preferito rivolgersi alle nuove alleanze sud-sud, ora rimesse in questione.