Spesso proponiamo il ritorno a quelle letture e saggi che per noi sono state fondamentali e che consideriamo ancora imprescindibili per capire e capirsi. E ci si domanda quale attualità hanno ancora i «classici» per poi scoprire nuove interpretazioni e profili.

Jean-Paul Sartre, in realtà, è rimasto sempre presente, un filosofo indispensabile e irriverente. Simbolo dell’engagement, ci spiega che non dobbiamo impegnarci, lo siamo già. Anche quando non facciamo nulla per cambiare lo stato delle cose siamo impigliati nella situazione, complici con la nostra assenza o distrazione. Non è possibile uscire dal mondo e quindi la nostra passività diventa scelta di inerzia. Sartre scrive contro il pensiero astratto, la sua è una voce fuori dal coro che offre una prospettiva inattesa e apre a nuove partenze.

Ora Ritorno a Jean Paul Sartre di Massimo Recalcati (Einaudi, pp. 258, euro 20) ci propone una lettura del filosofo francese legata alla psicoanalisi e in particolare a quella di Jacques Lacan, come dice: «ritorno a Sartre a partire dal mio incontro con Lacan». Ritorniamo certamente a Sartre come propone Recalcati, che indaga aspetti in cui i due autori si ritrovano vicini, ma il pensatore che conosciamo va sicuramente oltre le chiusure della psicoanalisi lacaniana.

Jean-Paul Sartre muore nel 1980 e anche dopo la sua scomparsa vengono pubblicati un gran numero di postumi. I lavori inediti sono così tanti che il ritmo delle pubblicazioni supera i periodi più prolifici (uno dei primi articoli dello scrivente sul tema si intitolava proprio: Sartre evaso dal purgatorio). Poi si sono creati in tutto il mondo i Gruppi di Studi Sartriani e si è scoperto essere lui l’intellettuale francese più letto in assoluto. In ogni modo, rimane ancora un autore inesplorato perché all’epoca è vittima del proprio successo. Non trova una critica che segua la sua incalzante scrittura e alla fine lui stesso con le autocritiche e superamenti, dovrà assumere il ruolo di principale antagonista di sé.

IN EFFETTI, Sartre racconta «di aver pensato sempre contro se stesso». Odiato o amato (a Parigi si diceva negli anni ’60 «meglio sbagliare con Sartre che avere ragione con Aron»), finito il furore della moda esistenzialista non si sono generati gli studi critici indispensabili per le innumerevoli prospettive, suggerimenti, percorsi, categorie, e più in generale le enormi possibilità che offre. Seguiamo allora il consiglio di Recalcati e riprendiamo Sartre.

Partiamo dalle prime definizioni: per l’esistenzialismo l’essere umano non ha una essenza da realizzare, è abbandonato e quindi libero. Anzi questa libertà è descritta come una condanna perché non si può evitare, rinunciare è comunque una scelta. Recalcati riconosce questo punto di partenza, ma già dalle prime pagine inizia il suo lavoro di avvicinamento forzato alla psicoanalisi attraverso il ritorno all’infanzia.

NELL’INTRODUZIONE, l’infanzia compare a ogni passo, ma è solo l’inizio. L’infanzia è insuperabile, nucleo originario, buio, inassimilabile, ma non come l’intende Sartre perché subito appare Lacan a definire «meglio» quello che vuole dire Sartre, cioè «la sua vocazione originaria (quella del soggetto) non sorge dall’intenzionalità, non è paradossalmente, una libera scelta del soggetto, ma proviene sempre, come direbbe Lacan, dal discorso dell’Altro».

Tutto è preceduto dal discorso dell’Altro dice Lacan, cioè l’inconscio, per poi aggiungere «il Sartre più maturo dissolve l’idea di un esistenza libera che precede ogni essenza, mostrando invece quanto l’esistenza si trovi da sempre sommersa, insabbiata, presa in circuiti di costrizioni eterodiretti». È vero, solo che Sartre lo ha sempre detto. Già nelle sue prime opere, sostiene che l’essere umano si trova calato in una situazione: è condannato a essere libero in situazione, immerso nel mondo, perché anche se terribilmente condizionato l’essere umano rimane soggetto, mai oggetto.

L’INFANZIA è importante perché è il momento primo e assoluto della socializzazione, ma come ogni elemento costitutivo sarà ripresa, interiorizzata, interpretata, e incorporata in un processo di personalizzazione. L’infanzia non determina, non costringe alla ripetizione, Sartre descrive uno stesso movimento in due momenti, non separabili, costituzione e personalizzazione. Non si possono scindere perché nulla di tutto ciò che arriva all’essere umano rimane esterno, ma nulla nemmeno rimane interno, perché l’essere umano è ciò che fa.
La sua essenza è l’esistenza. Procede seguendo un circuito spiraliforme in cui l’individuo diventa se stesso. Esiste, si realizza in un presente come una totalizzazione sempre in corso. Ripresa di sé, del proprio passato, dei condizionamenti, della Storia, della propria infanzia, un groviglio che rende un universo-singolare.

Questa scelta di sé non è però chiusa nell’individuo perché l’essere umano ha in sé l’altro da sé. È un essere in fuga che si rincorre, che si osserva, che a volte non si capisce, che spesso vorrebbe cambiare, un essere per-sé che sceglie, tra i possibili, quale essere realizzare. Questa scelta di sé sarà sempre in situation, radicata nel tempo e nello spazio dai quali riceve e dà senso. Sartre dirà che ogni scelta, anche se apparentemente individuale, è una scelta di mondo. Per cui, solo trasformando il mondo potrò cambiare me. La libertà sarà tale solo se è plurale.

L’infanzia è insuperabile, come lo è il passato proprio perché è già passato. Diciamo che ha «l’essere-dell’essere-stato» perché non è più e quindi non si può modificare. Le cristallizzazioni del passato ci costituiscono, ma questo non significa che l’essere umano sia una conseguenza. L’individuo non è mai il risultato passivo dei propri traumi, come sostiene anche Recalcati, è la continua ripresa di quel passato per trovare il modo di superarlo. Però il trauma non ritorna da solo, è una inerzia che rigurgita richiamata proprio perché non la posso «digerire», rimane «inassimilabile» e quindi «inammissibile» fin quando non trovi le parole per dirla, per integrarla in un ordine accettabile.

QUESTO PROCESSO persegue il desiderio di essere, di rincorrersi per diventare ciò che si è. Nel disegno sartriano il per-sé è un vuoto da riempire, la mia scelta si trova sempre in avvenire, sono un essere da fare. Questa mancanza d’essere non è nell’in-sé, che è assoluta positività, ma nel per-sé che invece è una costruzione che determina ciò che è assente su uno sfondo reale di presenza.

Invece Recalcati riprende qui Sartre per dare voce all’ordine patriarcale di Freud e Lacan, e dice: «la castrazione del sesso femminile provoca ripugnanza e la spinta a rinnegare il vuoto, a misconoscere, direbbe Freud l’assenza del fallo nel corpo della madre. Nondimeno anche per la donna la mancanza del fallo comporterebbe la ricerca dell’avere il fallo come ciò che potrebbe porre fine a questa sensazione di vuoto».
Ecco come trascinare Sartre verso l’obsoleto armamentario di una società bigotta e vittoriana che oggi non esiste più o almeno non vorremmo più. Per noi è necessario ritornare alla dialettica sartriana con la consapevolezza che ogni ritorno implica una ripresa critica e responsabile dell’ordine che si vuole recuperare, se possibile non l’ordine del padre.