Ho letto e riletto Quel che resta di Marx. Rileggendo il Manifesto dei comunisti (Salerno Editrice, pp 98, euro 8,90), questo distillato libro di Giuseppe Vacca e mi ha molto intrigato. Provocatorio, il titolo sembrava indicare quel che di Marx andrebbe buttato nella spazzatura della storia e, invece, al contrario, Vacca ne ribadisce l’attualità del pensiero, fondandosi sulla lettura del Manifesto e senza arrampicarsi sui Grundrisse.

La tesi di questo saggio – scrive Vacca a conclusione della sua premessa – è che la carenza di ricostruzioni soddisfacenti della storia mondiale contemporanea sia dovuta anche all’emarginazione del pensiero di Marx.

Tuttavia, invece di invocarne un generico ritorno, si vorrebbe dimostrare che «rimosso il continente Marx dal pensiero contemporaneo, questo funziona male perché non riesce a dare un fondamento storico e un respiro strategico all’agire politico». E, sempre su Marx, decisiva è l’insistenza di Vacca nel respingere la sua corrente riduzione a economista, per ribadire che Marx è un politico nel senso pieno della parola. Non un politicante (oggi il nostro mondo ne è pieno), ma un politico e un politico straordinario, che fonda il suo agire su una vasta cultura.

I grandi mutamenti realizzatisi con lo straordinario progresso tecnologico e, forse ancora di più, con la globalizzazione hanno cambiato la configurazione storica del movimento operaio, ma anche del capitalismo. Bisogna quindi costruire un «nuovo pensiero», che trova ancora una guida nel pensiero di Marx, che va studiato in rapporto alle trasformazioni del presente e alla sua complessità nella quale un causa può avere anche un effetto diverso da quello scontato.

Le pagine di Vacca vanno allora lette e rilette e sempre in rapporto col pensiero di Marx, quindi con una seria lettura dei suoi scritti: il mondo è in continuo cambiamento, ma Marx resta ancora in campo.