C’è un dato che resta nascosto tra quelli che emergono dalle cronache sull’emergenza Covid-19 in Sardegna. Si parla molto dei giovanissimi che si sono infettati sulle piste da ballo di Porto Rotondo, nella maggior parte dei casi dopo essere arrivati nell’isola dalla Spagna o dalla Croazia in un tour del divertimento estivo che, per i ragazzi, è anche nomadismo da una sponda all’altra del Mediterraneo.

Si parla molto dei turisti lombardi, laziali, piemontesi e veneti che restano intrappolati, in quarantena, in villaggi turistici «monstre» da 500 posti letto, costruiti sulle spiagge quando ancora la Sardegna non si era data norme efficaci di tutela dei litorali per proteggerli dalle mire della speculazione edilizia e dai boss del turismo di rapina.

Se però si avvicina un po’ di più lo sguardo, si vede anche altro, una realtà che in tanti per tanto tempo hanno accuratamente tenuto nascosta. È quella dei lavoratori stagionali. Sono loro che rendono possibile il funzionamento della macchina turistica, in Sardegna e non soltanto in Sardegna.

Fermiamoci soltanto ai due casi che hanno occupato più spazio nelle cronache dei giorni scorsi sul ritorno di fiamma del virus nell’isola e, in particolare, nel paradiso dorato delle vacanze, la Costa Smeralda: il villaggio di Isola Santo Stefano, nell’arcipelago della Maddalena, dove quasi 500 tra turisti e personale, sono stati messi in quarantena dopo che s’era scoperto che il pianista del bar del resort era positivo, e il Billionaire, il locale per super ricchi gestito ad Arzachena, cuore della Costa Smeralda, da Flavio Briatore.

Ebbene, se si va vedere più da vicino si scopre che dei ventisei casi di positività al virus riscontrati dopo che sono stati fatti i tamponi a tutti i 470 ospiti del resort soltanto uno è un turista; gli altri sono camerieri, addetti alle pulizie e personale delle cucine. Nel caso del Billionaire, poi, di vacanzieri positivi al Covid-19 non se n’è trovato neppure uno, complice probabilmente il fatto che i clienti lì non ci restano una o due settimane come in un resort, ma magari una sola sera; poi girano per altri locali, nessuno sa se positivi o meno.

Al Billionaire i contagiati ufficialmente censiti dal sistema sanitario sardo sono soltanto lavoratori stagionali, quasi tutti molto giovani. Sono undici su un totale di un centinaio di dipendenti. Ora sono isolati e vengono curati. Per gli altri loro colleghi è, ovviamente, scattata la quarantena.
Con l’esplosione dei contagi il servizio sanitario sardo ha annunciato un piano di tamponi a tappeto nelle strutture turistiche, in particolare in quelle della Gallura, la zona più colpita dalla recrudescenza del contagio.

É sperabile che agli annunci seguano, in fretta, i fatti. Perché la situazione è allarmante. Nessuno sa bene in che condizioni lavorino gli stagionali. Non esiste un censimento che ne quantifichi il numero. Difficile, d’altra parte, averlo, perché tra gli stagionali è molto alta, specialmente nelle piccole realtà di accoglienza turistica, l’incidenza del lavoro in nero, che non si sa quale percentuale copra dell’occupazione effettiva garantita dal business delle vacanze. I controlli da parte degli Ispettorati del lavoro non sono frequenti come dovrebbero essere e molti lavoratori non denunciano contratti in nero e orari e condizioni di lavoro fuori norma per paura di non essere richiamati nella stagione successiva.

A questo si aggiunga che tanti stagionali quest’anno sono rimasti a casa per due mesi: a giugno e a luglio, infatti, di turisti se ne sono visti pochissimi. Senza lavoro, quindi. E settimane in attesa del bonus di 600 euro promesso dall’Inps, arrivato con enorme ritardo.
Il fatto è che ciò che avviene ora in Sardegna è l’ennesima riprova che dietro le luci e i lustrini del gran teatro delle vacanze si nasconde una realtà di precarizzazione del lavoro e di feroce sfruttamento.

Non soltanto a destra, la scorciatoia della precarizzazione del lavoro è stata preferita a politiche, definite su scala nazionale, di rimodulazione e di maggiore qualificazione dell’offerta turistica. No al lavoro nero, sì al lavoro vero: questa sarebbe la strada giusta.