Tra le ispirazioni dichiarate c’è Una storia vera di David Lynch ma La Vache – questo il titolo originale di In viaggio con Jacqueline – molto ama un film come La vacca e il prigioniero di Henri Verneuil, con Fernandel che interpretava un prigioniero in fuga dai tedeschi insieme a una mucca, e più in genere il patrimonio della tradizione comica d’oltralpe. Anche se Mohamed Hamidi, ex-insegnante e tra i fondatori di Bondy Blog, il paesaggio un po’ idilliaco, quasi dai toni fiabeschi, di un tempo lontano, lo punteggia di molte sfumature del presente; con grazia, senza urlare o sottolineare, mantenendo la lievità gentile di un umorismo miscelato teneramente alla fantasia. E dimostra una bella sicurezza di intenti e di scrittura nel modulare la commedia anche nelle sfumature e nei contrasti più rodati che il protagonista della storia, complice la sua co-attrice, reinterpretano nel proprio universo.

Fatah Behabbes (Fatsah Bouyahmed) ha due passioni: la Francia e Jacqueline, la sua mucca fulva a cui riserva moltissime attenzioni, al punto che anche la moglie ne è gelosa. Un giorno spera di partecipare al Salone dell’agricoltura in Francia portandola sul podio, e ogni anno rinnova la richiesta. Nel villaggio algerino dove vive tutti si chiamano Mohammed, lui che ha pure un nome diverso è considerato un eccentrico, preso in giro dagli altri uomini per la sua sbadataggine e per l’amore con cui si occupa della sua vacca – da pochi accenni capiamo anche che è non è un macho che chiude moglie e figlie, due vispe bimbette, in casa …

Quel microcosmo che guarda alla Francia con stupore e desiderio è popolato da maschi che passano la giornata al caffé o davanti al computer sperando di sposare una donna francese e di andarsene -«Potrebbe essere tua nonna» grida Fatah alla signora bionda francese con cui chatta un ragazzetto del posto. Finché l’invito arriva ma il Salone non paga le spese di viaggio così Fatah si imbarca – letteralmente – per arrivare a Parigi a piedi. La nave, Marsiglia e il suo porto, e infine il lungo cammino verso la capitale popolato da incontri, persone amichevoli o scontrose, sospetti e affetto, camerieri e aristocratici (magari in bolletta) casette e castelli come quello dove vive il nobile Philippe (Lambert Wilson).

On the road del cuore, sospeso nel rapporto tra i due paesi, Francia e Algeria, antico, mai risolto, profondo e conflittuale in cui l’immagine di entrambi, il primo idilliaco, dove non esiste razzismo e anche i poliziotti alla frontiera sono gentili (il contrario di quanto promette la campagna elettorale di Marine Le Pen), e il secondo osservato attraverso il villaggio del protagonista che sembra un teatrino nel deserto, diventano una sorta di antidoto agli stereotipi di lettura del presente e degli altri.

In un dispositivo che mette al centro la comicità e la commozione, il Forrest Gump Fatah sa col suo fare semplice di fronteggiare strumentalizzazioni dei media e ipocrisie, il pregiudizio, la chiusura, la negazione della curiosità verso l’altro. Sotto lo sguardo enigmatico (e complice) di Jacqueline, una novella Gioconda.