Giustizia è fatta. L’associazione Dignitatis Humanae Institute (Dhi) del suprematista americano Steve Bannon deve andarsene per sempre dalla Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone. Lo ha deciso il 15 marzo il Consiglio di Stato, con una sentenza che certamente farà storia nella gestione del patrimonio nazionale.

Sentenza inappellabile e arrivata dopo tre anni di inchieste giornalistiche, marce e raccolta di firme per difendere la Certosa di Trisulti dalle grinfie sovraniste che volevano farne un’accademia sovranista, per allevare piccoli salvini e piccoli Orban.

I GIUDICI HANNO constatato che la Dhi non aveva i requisiti per partecipare al bando del 2016, come denunciato fin da subito dalle associazioni locali e riscontrato dallo stesso Ministero dei Beni Culturali che a fine maggio 2019 aveva avviato addirittura il procedimento di annullamento in autotutela.

I giudici hanno riconosciuto il ruolo fondamentale delle associazioni in quanto portatrici di interesse, cosa che era stata loro negata dal Tar di Latina, con una sentenza definita dai giudici di Palazzo Spada «errata» con uno «scrutinio parziale e limitato».

«Sono soddisfatta in quanto avvocato e come cittadina poiché si è riconosciuto il valore della parteciapzione delle associazioni locali alla tutela del patrimonio culturale paesaggististo e storico», ha commentato l’avvocato Chiarina Ianni, dello studio Ianni/Spirito di Frosinone che ha assistito le dodici associazioni locali nel ricorso. «Abbiamo fatto un lavoro di ricostruzione certosina di tutte le criticità della procedura che aveva portato all’asseganzione della gestione dell Certosa alla Dhi. Era lampante che non poteva consentirsi una tale ingiustizia. C’è voluto tempo, impegno e soprattutto tenacia da parte delle associazioni tutte che non si sono arrese neanche davanti a una pronuncia del Tar che disconosceva loro la legittimazione a difendere gli interessi del territorio».

Sempre i giudici hanno riscontrato che la Dhi ha fuorviato la commissione del Mibact dichiarando circostanze non veritiere e che rappresentavano in realtà i requisiti per la partecipazione. La Dhi non aveva il riconoscimento della personalità giuridica al momento della domanda, non aveva le finalità principali definite dallo statuto dello svolgimento di attività di tutela, di promozione, di valorizzazione, o conoscenza di beni culturali e paesaggistici e non aveva la documentata esperienza quinquennale nella collaborazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

IL CONSIGLIO DI STATO ha ribaltato la decisione del Tribunale di primo grado laddove aveva ritenuto che l’annullamento non poteva essere disposto oltre il termine di diciotto mesi poiché la legge, con una lettura costituzionalmente orientata, ritiene che tale limite vada rispettato solo se «il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata a rilasciare il provvedimento favorevole».

In buona sostanza, i giudici di Palazzo Spada hanno detto: l’amministrazione non può essere ingannata! Bannon & Company ci hanno provato, gli è andata bene per qualche tempo fino a che non sono stati smascherati e sbugiardati dalle numerose inchieste giornalistiche.

«Siamo contenti. Giustizia è fatta», commenta l’avvocato Felice Maria Spirito – avevamo tutti contro, la verità era difficile da trovare, e soprattutto c’era un comportamento di grande ambiguità da parte di molti personaggi. Senza menzionare la totale assenza dei politici locali. E invece, tanta gente ha risposto, associazioni locali e semplici cittadini. Noi avvocati abbiamo dato il nostro modesto contributo. Oggi la contetezza è tanta».

«Ora finalmente le comunità locali, le associazioni del territorio e lo Stato – ha commentato il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, l’unico esponente politico che ha supportato con interrogazioni parlamentari e partecipando alle varie marce la protesta delle comunità locali. «Grazie a coloro che non si sono arresi in questi anni, al cui fianco abbiamo combattuto in Parlamento e nelle strade di fronte ad un’associazione che non aveva i requisiti per impossessarsi di un tale bene. Sono loro che oggi vincono, riaffermando la centralità del bene comune e della legalità».

«CI AUGURIAMO CHE porti un insegnamento anche a chi non ci aveva creduto e aveva perciò perso prima di combattere. E che, soprattutto, sappia incoraggiare il protagonismo delle associazioni che si pongono il fine della tutela dei beni materiali e immateriali della nostra comunità, che nel caso di Trisulti è vastissima e va ben al di là dei confini della nostra provincia», ha commentato Tarcisio Tarquini, presidente dell’Associazione Gottifredo di Alatri, una delle dodici associazioni che hanno partecipato al ricorso. Si apre adesso una fase nuova. Sarà centrale l’obiettivo di assicurare alla Certosa una gestione che conservi ed esalti i valori religiosi e civili che le sono propri. «È un compito impegnativo, che richiede la partecipazione di tanti – afferma Tarquini – ma questo 15 marzo segna una svolta profonda, di cui ben presto saremo in grado di valutare tutta la portata».

La vicenda di Trisulti deve essere di monito: il rischio di una deriva è stato davvero grande. Sventato il pericolo, oggi sbocciano fiori di primavera nel giardino all’italiana della Certosa.