Colosseo-roma
Mentre il dottor Stranamore – il bel Patrick Dempsey di Grey’s Anatomy – scatta selfie davanti all’Anfiteatro Flavio, Dario Franceschini twitta e canta vittoria: la Sesta sezione del Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar Lazio che aveva dato seguito al ricorso del Campidoglio contro il Parco archeologico del Colosseo (nel suo cda entra Irina Bokova, direttrice  generale Unesco). I giudici d’appello di Palazzo Spada hanno deciso che si andrà avanti con il disegno del Mibact: non si bloccherà la ricerca dei direttori stranieri (nonostante i non pochi vizi di forma contestati in sede di esame) e non sono rilevabili, evidentemente, quei «vizi di eccesso di potere del provvedimento» né, tantomeno, la «violazione del principio della leale collaborazione tra enti», riscontrati dal tribunale amministrativo. Si è ritenuto, invece, che la legge speciale di disciplina della materia potesse autorizzare il Ministero ad adottare un decreto non regolamentare.
Nelle sentenze – due – il Consiglio di Stato si è pronunciato su diverse questioni. Non ha riconosciuto come necessario il coinvolgimento di Roma Capitale nel processo decisionale (va distinta la «fase di organizzazione amministrativa da quella di esercizio delle funzioni di valorizzazione del patrimonio culturale», recita la sentenza). Ha poi difeso l’istituzione del Parco autonomo poiché «rientra nell’esclusiva competenza legislativa dello Stato e amministrativa del Ministero». E ha riaperto i giochi per la scelta internazionale del direttore, «in quanto il bando di gara gli attribuisce compiti che attengono essenzialmente alla gestione economica e tecnica del Parco». Il merito dei giudici è, con quest’ultima motivazione, quello di aver messo in chiaro il punto dolente: la separazione netta, perseguita dalla riforma Mibact, fra tutela e valorizzazione del patrimonio. Cavillo burocratico in più o in meno.