Esce l’Argentina, entra il Venezuela. I 193 stati che compongono l’Assemblea generale dell’Onu hanno eletto il paese socialista come uno dei cinque nuovi membri non permanenti del Consiglio di sicurezza. Per farcela, Caracas avrebbe dovuto ottenere 122 voti, ne ha incassati invece 181 voti e 10 astensioni. Eletti anche Malesia (con 187 voti), Angola (190) e Nuova Zelanda (145), mentre la Spagna ha dovuto penare un po’ per imporsi sulla Turchia.

Il Consiglio di sicurezza è composto da 5 membri permanenti (Stati uniti, Regno unito, Francia, Cina e Russia) e 10 pro-tempore che non hanno potere di veto ma partecipano alle decisioni e vengono eletti per due anni. Nessun altro paese del Latinoamerica e dei Caraibi ha presentato candidature. La decisione di proporre Caracas era stata presa in una riunione a porte chiuse nella sede dell’Onu, il 23 luglio.

Washington ha così dovuto ingoiare oggi quel che era riuscita a impedire nel 2006. L’allora presidente venezuelano Hugo Chavez avrebbe voluto entrare nell’organismo per «favorire un maggior equilibrio e una maggior rappresentantività per la costruzione di un mondo multicentrico e multipolare». Gli Usa avevano però brigato per imporre il Panama, al termine di 47 giri di voto e un testa a testa tra il Guatemala e il Venezuela.

Questa volta, non ha però avuto abbastanza peso neanche la lettera inviata al segretario di Stato, John Kerry, da una dozzina di senatori Usa per chiedergli di ostacolare l’entrata del Venezuela, «un paese – hanno scritto – il cui governo contrasta coi principi fondativi della Carta delle Nazioni unite». Per ora, Washington non si è espressa. La posizione del governo bolivariano sulle crisi internazionali, come quella con la Russia o con la Siria non crea però di certo un contrappeso a suo favore.

Il governo Maduro e quello dei suoi omologhi socialisti in America latina preferiscono inviare medici e aiuti solidali e non cacciabombardieri. Obama non perde occasione per accusare Maduro di non rispettare i diritti umani. Così, a settembre, durante il suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu, ha messo in cima alla lista dei «prigionieri che meritano di essere liberati» l’ex golpista Leopoldo Lopez, leader del gruppo di opposizione Voluntad Popular, il cui processo per le violenze contro il governo scoppiate nel febbraio scorso si sta svolgendo in questi giorni. E anche il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, basato a Ginevra, ha chiesto la liberazione del dirigente oltranzista.

«Il Venezuela lotta per un mondo nuovo, è l’epicentro delle libertà e questa è una vittoria di Chavez che continua a vincere battaglie nel mondo», ha detto Maduro, confermando che il paese sarà anche membro della presidenza del Movimento dei Paesi non allineati. Un risultato dell’intensa attività internazionale che il governo ha svolto in nome «della pace, dei diritti e della giustizia sociale». Grazie alla distribuzione della rendita petrolifera, il Venezuela ha raggiunto anzitempo diversi Obbiettivi del Millennio stabiliti dalla Fao, che ieri ha rivolto un riconoscimento speciale al percorso intrapreso verso la sovranità alimentare.

Maduro deve però vedersela con l’opposizione delle destre, che domani tornano in piazza contro il governo. Ma scende in piazza anche la gioventù chavista, per ricordare il ventisettenne deputato Robert Serra, ucciso insieme alla sua compagna Maria Herrera, il 1 ottobre. Un omicidio su commissione, ha detto Maduro mostrando il video delle telecamere di sicurezza e quello di un reo confesso. Un assassinio organizzato in Colombia dai paramilitari dell’ex presidente Alvaro Uribe. Lo stesso presidente dell’assemblea, Diosdado Cabello e un altro ministro sarebbero sfuggiti a due omicidi mirati.

Uribe ha inviato la sua risposta: un video con la voce dell’ex deputata di estrema destra Maria Corina Machado, amica dei nazisti su cui stava indagando la commissione parlamentare di Serra. E in fondo, una frase: questo è il cambiamento per il Venezuela.