I simboli, e le parole, in politica contano. Ieri, alla cerimonia di presa di funzione dei membri del nuovo governo spagnolo di Pedro Sánchez, se n’è avuta una positiva dimostrazione. Come già era stato per il premier al suo insediamento il 2 giugno, davanti al Re Felipe VI nessun giuramento corredato da crocifisso e Bibbia, ma una laica «promessa» sulla Costituzione. E, novità assoluta, l’utilizzo dell’espressione «consiglio delle ministre e dei ministri». Pare non fosse previsto, ma l’istantaneo assenso del monarca sorridente ha fatto capire subito che non c’era nulla di formale da eccepire. E così, quasi tutti i componenti del nuovo gabinetto monocolore del Psoe hanno imitato la vicepresidente Carmen Calvo, la prima ad utilizzare la nuova «rivoluzionaria» dicitura per indicare l’esecutivo.

Altre parole importanti, quelle pronunciate dalla neoministra per la politica territoriale e la pubblica amministrazione, Meritxell Batet: «La priorità è recuperare il dialogo con la Catalogna». Proprio a lei, barcellonese doc, è affidato il compito più impegnativo che attende la compagine socialista: uscire dal muro contro muro con gli indipendentisti in cui era inchiodato l’ex premier conservatore Mariano Rajoy. Già solo che si riconosca che c’è da ristabilire un rapporto con una parte del Paese è un enorme passo avanti. Certo, anche il nuovo governo non farà sconti ai seguaci dell’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont: la nomina agli esteri del carismatico Josep Borrell, principale voce del mondo catalano antiseparatista ed ex presidente dell’Europarlamento, lo sta a dimostrare. Eppure, qualcosa si sta muovendo, nella giusta direzione. E da Barcellona, per bocca della portavoce del nuovo governo regionale Elsa Artadi, giungono segnali di apprezzamento.

 

 

Dalle parti di Podemos la cautela è massima. Il leader Pablo Iglesias concede al nuovo governo «un paio di settimane di cortesia» prima di emettere giudizi, ma un po’ di disappunto c’è: «Sánchez ha fatto un governo con gente che poteva piacere a Ciudadanos e al Pp e con nessuno che possa risultare una figura vicina a noi», ha dichiarato in un’intervista alla tv pubblica. Nel mirino soprattutto Borrell e il ministro degli interni Fernando Marlaska, giudice che fino a ieri sedeva nel Csm spagnolo in quota Pp. Una nomina, quella del magistrato, che in effetti ha stupito, e che può senz’altro essere interpretata come segno che a Sánchez interessa recuperare consensi al centro, soprattutto ai danni dell’avversario ora più temibile, cioè Ciudadanos.

Sono i liberali di Albert Rivera, infatti, ad essere in questo momento in testa ai sondaggi. E i socialisti sanno che la vera posta in gioco, in un assetto politico ormai compiutamente quadripolare, è riuscire ad essere, anche se di poco, il primo partito. Per poter poi scegliere, dopo le prossime elezioni (la scadenza naturale è nel 2020), se allearsi con i centristi o con la sinistra di Podemos e soci.

In pieno marasma sono i populares orfani di Rajoy, che ha abbandonato la guida del partito e la vita politica. È la prima volta che alla destra manca un leader: in precedenza, il numero uno uscente aveva sempre designato il proprio successore. È tornato a farsi sentire l’ex premier José María Aznar, l’uomo che condusse la Spagna nella criminale guerra in Iraq, che sembra voler riprendere il posto che lasciò a Rajoy. Ma nel partito in pochi sembrano volere il suo ritorno. Chi ambisce al ruolo di leader, ed è molto quotato, è il presidente della Galizia, il cinquantasettenne Alberto Núñez Feijóo.