Donald Trump ha lasciato la Florida, dove ora risiede e dove ha passato le sue turbolente vacanze di Natale, per fare ritorno a Washington. Nel fine settimana Trump aveva minacciato di colpire per rappresaglia i siti culturali iraniani in caso di un attacco dell’Iran a qualsiasi interesse americano.

In seguito ha postato un tweet polemico indirizzato al Congresso: «Questi post serviranno come notifica al Congresso degli Stati uniti che se l’Iran dovesse colpire qualsiasi persona o bersaglio degli Usa, gli Stati uniti reagiranno rapidamente e completamente, e forse in modo sproporzionato. Tale avviso legale non è richiesto, ma è comunque dato!».

Poco dopo la Commissione della Camera per la politica estera ha risposto, sempre su Twitter: «Questo post servirà a ricordare che i poteri di guerra risiedono al Congresso ai sensi della Costituzione degli Stati uniti. E che dovresti leggere il War Powers Act. E che non sei un dittatore».

La tensione con l’Iran ha creato nuovi problemi anche tra popolazione Usa e polizia di frontiera, il Customs and Border Protection, Cbp. Molti account di attivisti hanno postato notizie riguardanti iraniani-americani che sarebbero stati arrestati al confine canadese e a cui sarebbe stato rifiutato l’ingresso negli Stati uniti.

Il Cbp ha negato: «I post sui social media secondo cui il Cbp sta trattenendo iraniani-americani e rifiutando il loro ingresso negli Stati uniti a causa del loro paese di origine sono falsi», ha detto alla stampa il segretario Cbp Matt Leas.

Intanto però in un post condiviso più di 24mila volte gli attivisti hanno affermato che al Cbp era stato «ordinato» di detenere «tutti gli iraniani che entrano nel paese ritenuti potenzialmente sospetti», mentre continuano a emergere notizie di americani iraniani in attesa in un porto di entrata al confine nord, sollevando preoccupazioni tra avvocati e difensori dei diritti civili sul fatto che vengano detenuti a causa del loro paese di origine.

Il Council on American-Islamic Relations afferma di star aiutando nello Stato di Washington «più di 60 iraniani e iraniani-americani», che sostengono di essere stati «detenuti e interrogati a lungo» rientrando a Washington dal Canada. Anche Barbara Lee, deputata democratica, ha scritto su Twitter di cittadini Usa di origine iraniana fermati agli aeroporti.

Come prevedibile la crisi è entrata nella corsa democratica per la presidenza, provocando l’effetto di compattare un po’ di più le diverse anime del partito e di definire ulteriormente le linee interne. Dall’annuncio dell’uccisione di Soleimani il gradimento di Sanders e di Biden è salito nei sondaggi, identificando i due diversi approcci dell’elettorato democratico.

Chi premia lo storico approccio pacifista di Sanders, dalla guerra in Vietnam in poi, e chi l’esperienza in politica estera di Bidem, per otto anni dentro la stanza dei bottoni come vice di Obama, incluso nel caso dell’Irandeal.

Nessun democratico sembra aver apprezzato l’iniziativa di Trump. Se, come alcuni analisti pensano, quest’improvvisa escalation di tensione causata da Trump doveva favorire un compattamento dell’elettorato intorno al presidente, in vista delle elezioni di novembre, il piano non ha forse avuto il successo sperato da the Donald. La base Usa al momento resta spaccata quanto prima.