A proposito del Congresso della Cgil si avverte l’urgenza di un rilancio dell’ attenzione pubblica verso i suoi contenuti politici, perché va detto che non può esistere alcun confronto intorno ai futuri incarichi prescindendo dai contenuti e dagli obiettivi generali e moderni di rappresentanza.

Tra i diversi temi certamente c’è il complesso dei probemi che corrisponde a una realtà fondamentale e determinante della nostra società: l’immigrazione.

Essa è, come sappiamo, il risultato e il sintomo di situazioni economiche, sociali, di permanenza di strutture repressive, di schiavitù, di guerre e di sfruttamento dei Paesi e dei continenti di provenienza.

CARLO LEVI, IN UN memorabile discorso al Senato del 9 aprile 1970, parlando dell’emigrazione italiana diceva: «…La sua esistenza contesta obiettivamente il valore della nostra struttura sociale» e ancora, «l’emigrazione incide su tutta la vita del Paese, in tutti i campi…».

Forse, con qualche arbitrio, dalle parole di Carlo Levi si possono trarre definizioni pertinenti all’immigrazione di oggi in Italia.

D’altra parte, i documenti congressuali «Il lavoro è» – documento di maggioranza – e «Riconquistiamo tutto» – di minoranza – , sia pure proiettati verso contesti politici differenti affrontano ampiamente la questione, proponendo misure per l’accoglienza e l’integrazione in un quadro di diritti e di tutele improntato all’universalità.

Gli auspici, gli obiettivi e le ipotesi concrete che vengono prefigurati consolidano un lungo cammino iniziato dalla Cgil e ,per la verità, dall’insieme del sindacalismo confederale italiano sin dagli anni ‘80 del secolo scorso: dalle prime regolarizzazioni alle grandi mobilitazioni – si veda fra tutte quella del 7 ottobre 1989 fino alle campagne per il riconoscimento del diritto alla cittadinanza italiana.

SUL PIANO ORGANIZZATIVO sono state fatte importanti scelte, come gli uffici stranieri nelle Camere del lavoro, i coordinamenti immigrati e gli inserimenti di quote di immigrati all’interno degli organismi dirigenti. Scelte organizzative che oggi hanno necessità di un grande rilancio perché sono insufficienti e, purtroppo, hanno subito un rallentamento, come denunciano, in primo luogo, le immigrate e gli immigrati.

Essi rivendicano, infatti, sempre di più di volere essere i protagonisti del proprio destino, di essere i rappresentanti di coscienze, di culture nuove in formazione, con una consapevolezza sempre più alta della loro forza, una crescente padronanza della loro volontà, proprio come Carlo Levi disse degli emigranti italiani all’estero o che si erano spostati dal Sud d’Italia verso il Nord.

I movimenti e le più diverse organizzazioni che sono emersi negli ultimi mesi ne hanno già dato ampia dimostrazione: si pensi alle lotte contro il caporalato nelle campagne, specialmente al Sud, guidate da lavoratori africani.

TRA LE IMMIGRATE e gli immigrati va crescendo la coscienza di essere le donne e gli uomini del domani, come si può cogliere in maniera tangi,bile anche nelle scuole per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri, dove la fiducia è il connotato principale come più volte è stato raccontato da Alessandro Leogrande.

La Cgil con il suo Congresso non può ignorare tutto ciò, tanto più che i patrimoni sindacali documentali, librari, di biografie, di immagini, di storie orali, conservati negli Archivi e nelle Biblioteche documentano in maniera incontrovertibile i nessi tra le trasformazioni delle strutture interne all’organizzazione e quelle più generali che sono seguite nella società.

A tale proposito gli esempi sono diversi: le donne, gli operai, i braccianti, gli emigranti che diventano classe dirigente operando una rottura importante degli schemi preesistenti.

Se disegnare il futuro dei gruppi dirigenti della Cgil non significa occuparsi del comando come se fosse uno dei diritti scritti nella Dichiarazione universale dei diritti umani ma occuparsi della questione sociale (cit. da Anna Maria Ortese) la Cgil dovrebbe cogliere l’occasione del proprio Congresso per eleggere a dirigenti donne e uomini immigrati, a partire dalla segreteria nazionale confederale e da quelle delle categorie nazionali.

Carlo Levi concludeva il suo discorso dicendo: «Gli emigranti non vogliono essere governati ma vogliono governarsi»: si può copiare e andare nella stessa direzione se si vuole tornare a essere protagonisti delle trasformazioni e se si vuole alimentare quel clima di fiducia di cui l’Italia e lo stesso mondo del lavoro hanno urgente necessità. Sarebbe una grande ed esemplare innovazione.

L’autrice è la coordinatrice nazionale Archivi, Biblioteche e Centri di documentazione della Cgil – Fondazione G. Di Vittorio