La linea telefonica è ancora aperta. Salvini e Di Maio si sono parlati e messaggiati anche ieri, ancora un po’’ ci sperano, ma per il Quirinale la parabola della ipotetica maggioranza M5S-centrodestra è finita quando l’esploratrice Casellati ha potuto dire solo di aver riscontrato «interessanti spunti di riflessione» nei suoi colloqui. Come dire zero via zero.

Se quel fronte tornerà ad apparire di qualche interesse per Mattarella sarà solo dopo l’eventuale rottura della Lega con il resto del centrodestra. Non impossibile ma assai poco probabile. Senza quel segnale, quella partita è chiusa e pertanto la richiesta di preincarico di Salvini non solo non otterrà riscontro ma ha destato anche notevole irritazione sul Colle, dal momento che il capo leghista, quando poteva effettivamente ottenere il pre-incarico e quando il presidente auspicava che lo accettasse, ha fatto il possibile per allontanare da sé quel calice, sia facendo capire che non avrebbe gradito sia alzando i toni sulla crisi siriana.

LUNEDÌ MATTARELLA AFFIDERÀ un nuovo mandato esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, con il compito di verificare le chances di una maggioranza M5S-Pd-Leu. Tutte le altre strade si sono infatti chiuse ieri, nel corso della mattinata più sguaiata e rissosa dall’inizio della crisi. Offeso per i veti sulla sua persona, dopo essere stato strapazzato e per settimane da Di Maio, probabilmente anche preoccupato per quella che era ancora una imminente sentenza nel processo sulla trattativa Stato-mafia, il leader azzurro è letteralmente sbottato, oltrepassando come forse mai prima gli era capitato di fare i confini della volgarità: «Nessun accordo è possibile con i 5S, gente che non conosce l’abc della democrazia, gente che non ha mai fatto nulla nella vita e che a Mediaset potrebbe solo pulire i cessi. Gli elettori hanno votato molto male. Sono contrario al no secco al Pd, che per responsabilità e democrazia è anni luce avanti a M5S».

QUELL’APERTURA AL PD ha fatto saltare per aria Salvini, che ha risposto subito per le rime: «Sbaglia quando dice che gli italiani hanno votato male e risbaglia quando pensa al Pd. La Lega col Pd non andrà mai». E’ sembrato l’avvio di una rottura clamorosa. Nel partito azzurro è dilagato il timore che il leghista intendesse cogliere la scusa offerta dallo sbotto di Berlusconi per rompere la coalizione. Non è successo ieri e probabilmente non succederà nei prossimi giorni. La tensione era dovuta soprattutto a una diffidenza perenne degli uni nei confronti degli altri che certo non depone a favore della stabilità di quella coalizione ma neppure è sufficiente per decretarne il tracollo.

Sin da giovedì sera Berlusconi sospettava l’alleato di aver cercato, mettendolo di fronte a una specie di fatto compiuto, di spingerlo verso l’appoggio esterno. Anzi verso quello che neppure sarebbe un vero appoggio esterno. Come ha specificato ieri la capogruppo 5S alla camera Grillo, quella formula si adopera a proposito di partiti la cui posizione è determinante perché il governo ottenga la fiducia. All’asse sognato da Di Maio, quello gialloverde, non servirebbero aiuti. Quello di Fi e di FdI sarebbe quindi un sostegno. Non respinto ma accolto con sufficienza.
Anche Salvini covava sospetti in quantità: in particolare sul ruolo di Casellati che avrebbe lavorato, per conto del Cavaliere, per far fallire la trattativa con Di Maio e aprire la strada a un accordo con il Pd reclamando ministeri per Malan e Carfagna. La presidente, in realtà, si sarebbe limitata a fare quei nomi, rispondendo a una domanda precisa, come esempi di possibili ministri azzurri.

DIFFIDENZA E TIMORI reciproci di lunga data sono esplosi ieri. I due alleati hanno messo in campo i rispettivi veti: «Mai con M5S» Berlusconi, «mai con il Pd» Salvini. Sarebbe abbastanza per un divorzio, se non fosse che né il capo di Fi né quello del Carroccio hanno interesse nel tirare la corda fino a quel punto. Nelle pieghe della rissa a destra, anche i 5S hanno ripetuto il loro «mai con Berlusconi», ancora più tassativo dopo la condanna di Dell’Utri. Il Pd, chiamato in causa da Berlusconi, ha messo i puntini sulle i: «Mai con Salvini e Meloni». E il leader del Carroccio ha anche confermato che farà «tutto il possibile per impedire un governo tecnico». Dopo una cinquantina di giorni perduti, sembra restare solo il sentiero che dovrà esplorare Fico. Non è aperto, ma nemmeno del tutto chiuso.