Dopo le roboanti esternazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Del Rio sull’urgenza di una seria legge sul conflitto di interessi e sull’onda delle dichiarazioni (meglio tardi che mai) del presidente dell’Autorità antitrust sulla necessità di sanzioni vere, sarebbe stato lecito aspettarsi che nei tre discorsi di Matteo Renzi alle camere (dichiarazione programmatica e due repliche) ci fosse un cenno alla materia. Niente di tutto questo. Eppure, la questione si è ulteriormente complicata per la presenza nella stessa compagine governativa di alcuni casi –pur diversi, ma esempi del genere, i ministri Guidi e Poletti – che l’attuale normativa voluta da Frattini nel 2004 non riesce certo a contrastare.

Ci si attende un chiarimento rapido, inequivoco, affinché le posizioni inaccettabili di oggi non vengano utilizzate per rimuovere il conflitto dei conflitti, quello di Silvio Berlusconi. Se si vuole , si possono prendere come riferimenti testi già depositati, a partire da quelli più incisivi. O costruire un articolato nuovo, che eviti, però, di evocare palingenesi universali per poi non cambiare nulla.
Vanno ben distinti i casi di ineleggibilità da quelli di incompatibilità. Questi ultimi riguardano i citati ministri, ma chissà quanti parlamentari o consiglieri regionali, comunali, assessori, e così via. È quando l’attività pubblica entra in contraddizione con le proprietà o i ruoli societari ricoperti, che obiettivamente possono confliggere con l’autonomia delle istituzioni. Quante decisioni sono velate dal rischio attuale o immanente di sovrapposizioni improprie o di lucro effettivo (o anche solo potenziale), laddove le decisioni abbiano a che fare con attività in cui vi sia traccia dei decisori medesimi. Qui si annida il vero scandalo della cattiva politica, che non si ferma alle brutture e all’inferno delle concussioni, delle frodi o dei diversi reati della e nella amministrazione: la sovrapposizione colpevole dei ruoli incrina la costruzione democratica e inficia la credibilità della sfera pubblica.

Tuttavia, esistono poi specifiche attività autorizzate dallo stato – è il nodo dell’emittenza radiotelevisiva – che influenzano a monte, in maniera impropria, lo svolgimento del corretto agone politico ed elettorale. Appunto. Chi ha direttamente o indirettamente un piede nel broadcasting deve ricadere nelle categorie che la legge italiana sui casi di ineleggibilità del 1957 prevede. Insomma, la resistibilissima ascesa nell’agorà di mr. B. andava bloccata nel 1994. Non avvenne, né il centrosinistra volle davvero chiudere la ferita inferta all’ordinamento. Incoscienza, collusioni di fatto e incomprensione della portata nel fenomeno mediatico hanno determinato una vera e propria Waterloo, i cui effetti sono ancora in atto. Il berlusconismo ha fatto il salto di qualità per questo. Errori ed omissioni si intrecciano in modo evidente.

E quindi? Come va letta la scelta elusiva del nuovo presidente del consiglio? Siamo, al solito, in presenza di tattiche compromissorie, con qualche diversivo proclamatorio? Certo, vent’anni dopo, per dirla con Dumas padre, tutto è complicato. Ma nient’affatto impossibile. Renzi evoca spesso il coraggio e qui un po’ ce ne vuole, visto che la trama televisiva avvolge il sistema di potere italiano da anni. Osare, però, è un dovere civile e morale. Bisogna crederci. Altrimenti si invererebbe la felice espressione della vincitrice di Sanremo. Quando la brava Arisa dice «Gli altri non possono credere in te se tu non lo fai…».