Dire conflitto di interessi da tredici anni in Italia significa una cosa precisa. E assai limitata, per fortuna della ministra Maria Elena Boschi. Che infatti ha sostenuto in parlamento nel dicembre 2015 e confermato ieri sera in televisione di «non avere un conflitto di interessi».

Da quando, luglio 2004, è entrata in vigore la legge firmata da Franco Frattini, ministro del secondo governo Berlusconi, il conflitto di interessi nel nostro paese è praticamente sterilizzato. Non serve neanche che non siano previste sanzioni effettive per chi dovesse violare la legge, perché la situazione di conflitto è praticamente indimostrabile. Eppure, vedremo, è stata proprio la ministra Boschi a riconoscere la sua situazione particolare.

Nove mesi dopo aver incontrato il presidente della Consob per esprimergli le sue preoccupazioni sulle prospettive di Banca Etruria, Boschi ha deciso di non partecipare al Consiglio dei ministri del 20 gennaio 2015 dov’è stato approvato il decreto (3/2015) sul sistema bancario e le banche popolari (tra le quali Etruria). La legge Frattini individua il conflitto di interessi solo quando il ministro «partecipa all’adozione di un atto». Il comune cittadino può trovare il fatto che un ministro non competente per materia faccia sapere (in più occasioni) al capo della Consob di essere contraria all’acquisizione di Banca Etruria da parte della popolare di Vicenza altrettanto compromettente rispetto alla sua partecipazione a una decisione, collegiale, del Consiglio dei ministri. Ma per la legge italiana la differenza c’è ed è quella che passa tra un comportamento lecito e uno illecito. Magari «politicamente inopportuno», come spiega Stefano Passigli, che aveva firmato una diversa proposta di legge sul conflitto di interessi approvata al senato dal centrosinistra e dalla Lega ma fermata dallo scioglimento delle camere nel 1996. «La legge Frattini è uno scudo che protegge anche comportamenti indubbiamente inopportuni come quello della ministra Boschi – dice Passigli. Con un’altra legge, come sarebbe stata la mia, si sarebbero potuti prevenire i conflitti di interesse potenziali».

Boschi si è astenuta da altri tre Consigli dei ministri durante il governo Renzi. Quelli del 6 e del 13 novembre 2015 che hanno varato il decreto legislativo 180 sulle banche (aveva però partecipato alla riunione precedente dove era stato approvato lo schema preliminare) e poi non ha partecipato neanche al Consiglio dei ministri del 22 novembre 2015 dov’è stato approvato il cosiddetto «salva banche». Il decreto che ha azzerato il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate delle banche, tra le quali Banca Etruria. In quest’ultimo caso si potrebbe al limite configurare una delle tre condizioni previste dalla legge Frattini, il «danno per l’interesse pubblico» (di certo il danno per quei cittadini che hanno perso le somme investite). Ma quella legge vuole anche che si verifichino altre due condizioni, contemporaneamente: la partecipazione del componente di governo all’atto (e Boschi non c’era) e «l’incidenza specifica o potenziale sul patrimonio» del ministro o del parente prossimo (in questo caso il padre) del ministro. Tutte queste condizioni insieme nel caso di Boschi non si sono verificate. Lo ha già appurato l’Autorità garante per la concorrenza (Antitrust) che nel dicembre 2015 rispondendo a una richiesta del deputato M5S Di Batista ha escluso il conflitto di interessi.

Come lo ha escluso, del resto, al termine di due specifiche istruttorie, anche negli unici due casi in cui è stata verificata fino in fondo la possibilità di applicare ai titolari di cariche di governo la legge Frattini. Due soli casi in tredici anni, entrambi riferiti al governo Berlusconi (uno a carico dello stesso Cavaliere, l’altro del ministro Lunardi) tutti e due chiusi in maniera positiva per gli interessati. Il conflitto di interessi non si è mai potuto dimostrare.
Eppure mai come nel caso di Boschi la distanza tra la sostanza del conflitto di interessi e la sua definizione giuridica appare tanto evidente. Perché sia Berlusconi che Lunardi avevano «partecipato all’adozione dell’atto» incriminato, salvo poi dimostrare che ne avevano tratto beneficio anche altri e non abbastanza. Boschi invece ha riconosciuto lei stessa la sua condizione critica, astenendosi più volte dal Consiglio dei ministri. Non ha partecipato neanche recentemente, quando il governo Gentiloni ha confermato Visco alla guida di Bankitalia (come lei tutti i ministri strettamente renziani). Ma non si è fatta alcuno scrupolo di di farsi sentire, su Banca Etruria, da Vegas e da Ghizzoni.