Nell’ottobre 2011 il consiglio comunale di Trieste, era sindaco Roberto Cosolini del Partito democratico, respingeva la mozione presentata da Franco Bandelli e Alessia Rosolan che chiedeva l’intitolazione di una strada al 12 giugno 1945, secondo loro data della liberazione.

Quel giorno in realtà segna il passaggio di consegne dell’amministrazione della città dalle truppe Alleate jugoslave alle truppe Alleate angloamericane dopo la Liberazione del 1 maggio e la fine della guerra, in Europa, l’8 maggio.

Tuttavia, lo sappiamo, la seconda apparizione della stessa tragedia si può manifestare in forma di farsa e così stessa maggioranza e stesso sindaco tre anni dopo hanno deciso di accogliere la medesima mozione della destra Bandelli-Rosolan confermando che il confine orientale è davvero il laboratorio privilegiato del revisionismo «rovescista».
In principio fu l’omissione dei crimini di guerra italiani nei Balcani in nome della pacificazione nazionale e degli equilibri internazionali della Guerra Fredda.

Dalla metà degli anni ’90 si passò al tentativo strabico delle parificazioni partigiani-salotini (repubblichini) e shoah-foibe fino all’istituzione, nel 2004, della giornata del ricordo coincidente con la firma del Trattato di Pace e contraltare della giornata della memoria.

Narrativamente strutturata nel discorso pubblico attraverso le misure empatiche della rappresentazione del dolore, che tutto e tutti equipara, quella riscrittura della storia per legge si proponeva come risarcimento della «memoria dei vinti» e conseguente legittimazione degli eredi, ormai al governo, dei «ragazzi di Salò».

Oggi l’iniziativa della destra in corso in questi giorni a Trieste porta a evoluzione il dispositivo politico di enunciazione del passato concertato nelle assemblee elettive, presentando «due liberazioni»: quella «titina» del 1 maggio, comunista, sanguinaria e sotterrata dalle macerie del muro di Berlino e quella anglo-americana «vera» del 12 giugno contro cui la stessa destra omette la sua storica contestazione di legittimità, simboleggiata dall’opposizione ai «diktat» del Trattato di Pace del 1947 e dalle manifestazioni, con morti e feriti, del novembre 1953.

I termini del conflitto memoriale si spostano dallo scontro fascismo-antifascismo, attraversano la frattura politica comunismo-anticomunismo e rivolgono lo sguardo all’approdo conclusivo del riconoscimento ideologico del sistema unico di riferimento, valoriale ed economico-sociale, dei soli liberatori «occidentali».

Un uso politico che omette due elementi immodificabili della storia: la convergenza fattuale nella «grande alleanza antifascista» di angloamericani, francesi, sovietici e jugoslavi; il carattere internazionale della Resistenza che nel fuoco della «guerra totale» destrutturò il paradigma nazionalista sostituendolo con l’assioma del diritto dei popoli.

In Italia la proiezione di tali rivolgimenti determinò la nascita della democrazia repubblicana e ciò dovrebbe indurre a non postulare un piano pubblico fatto di «doppie verità».
Il confine orientale rappresenta più di altri uno spazio storico-direzionale del nostro passato che racchiude il razzismo anti-slavo e i crimini di guerra italiani; le foibe, l’esodo e le ragion di Stato dell’impunità. Il permanere della strumentalizzazione di quelle drammatiche vicende oltre a replicare una narrazione distorta, raffigurata dalla mancata pubblicazione in Italia della relazione della Commissione italo-slovena, non fa che allargare la faglia tra passato e presente in un continuum di persistenze e rimozioni che impedisce di definire un tempo lungo della storia in cui siano riconoscibili un passato di provenienza e un futuro di approdo.

Così in un presente senza punti cardinali crea polemica l’intervento del presidente del consiglio comunale Furlanic – saranno presentate oggi contro di lui due mozioni – che correttamente afferma che la Liberazione della città di Trieste si ebbe con l’ingresso in città dei partigiani jugoslavi e italiani.

Viene in mente De Gasperi che, consapevole dell’eredità fascista, nella conferenza di pace a Parigi si rivolse agli Alleati affermando «in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me».

Forse se intervenisse oggi al consiglio comunale di Trieste troverebbe dalla sua non solo la personale cortesia dei convenuti.