Non era mai successo che una calamità riaprisse i termini per la sanatoria di abusi edilizi. Nel paese flagellato da terremoti e alluvioni non si era mai arrivati a superare un principio che, in fondo, è semplicemente di buon senso. Quello per cui ogni calamità deve vedere il Paese pronto a offrire la più grande solidarietà verso le popolazioni e i territori coinvolti ma anche segnare, nella ricostruzione, una assunzione di responsabilità.

Perché oramai è evidente a tutti che la ragione per cui nel nostro Paese perfino scosse sismiche di lieve entità provocano danni rilevanti, sta anche nel pessimo modo in cui si è costruito, senza attenzione ai rischi del territorio e spesso illegalmente.

Basta scorrere le date dei provvedimenti che hanno introdotto regole in materia di sicurezza sismica degli edifici e di tutela del territorio, per verificare come vi sia sempre stato un rapporto di causa effetto.

Dalla frana di Agrigento del 1966 ai terremoti del Belice, dell’Irpinia e del Molise, fino alle più recenti norme tecniche, è stata proprio l’indignazione per tragedie che si potevano evitare ad aver prodotto la migliore risposta della politica.

Questa volta, invece, corriamo il rischio che il Decreto per gli interventi urgenti a seguito del terremoto del Centro Italia, che questa settimana verrà votato alla Camera, sarà ricordato per la riapertura dei termini del condono edilizio.

Il testo approvato al Senato prevede questa possibilità per gli interventi realizzati fino alla data del terremoto.

Se si prova ad approfondire la genesi e le ragioni di questa scelta con i parlamentari l’imbarazzo è evidente.

Ci si giustifica con la straordinaria urgenza di approvare un provvedimento atteso da tempo dai territori, arrivato solo ora ad un accordo politico trasversale su risorse e regole. E si mettono le mani avanti dicendo che il condono riguarderà pochissimi interventi, di lievissima entità.

Ma ora a chiedere una modifica sono proprio Sindaci, tecnici e imprese, che criticano l’inutilità dell’intervento sia per i contenuti sia perché in questi territori un condono non serve a nessuno, visto che sono pochissimi gli interventi illegali realizzati dopo la famigerata ultima sanatoria del 2003.

Ed è per queste ragioni che Anci Marche e Legambiente, con l’adesione delle organizzazioni economiche territoriali, hanno scritto ai parlamentari per chiedere una modifica del testo, in modo da far partire i cantieri di edifici sicuri e rispettosi delle regole, ma senza riaprire i termini del condono.

Perché la beffa è che neanche questa volta si avrebbe alcuna svolta a due anni dalla scossa che ha devastato Amatrice, Arquata del Tronto e centinaia di borghi.

Ma il danno invece sarebbe sicuro, perché da domani altri territori potranno chiedere di non essere discriminati e avere anche loro il diritto alla sanatoria dopo una calamità naturale.

Sta qui il punto politico più delicato nel passaggio del provvedimento alla Camera e che deve uscire allo scoperto. Perché è evidente la pressione che proviene da coloro che sono interessati ad applicare la sanatoria a Ischia, in Sicilia o nel casertano alla prima occasione utile.

Ma è questo che vogliono i parlamentari che si apprestano a votarlo, anche quelli di Pd, LeU e Movimento Cinque Stelle?

In Commissione alla Camera è stato deciso di non portare alcuna modifica al Decreto, malgrado le polemiche scoppiate sulla sanatoria nel silenzio dell’opposizione.

Dobbiamo augurarci una discussione vera nell’aula e un finale diverso.

In questa legislatura davvero non possiamo permetterci distrazioni o passi indietro sul rispetto di principi e regole che definiscono il patto di convivenza e di responsabilità tra i cittadini.

* L’autore è vicepresidente nazionale di Legambiente